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CONTRO MASTRO CILIEGIA

La bella Pietà in nero e i volenterosi somari della blasfemia

Maurizio Crippa

Per i fedeli di area Ku Klux Klan raffigurare Gesù come sbarbatello, bizantino e hollywoodiano è lecito. Ma se il corpo viene pittato di nero, allora è una provocazione Black lives matter

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Il buon mons. Paglia, capo della pontificia Accademia per la Vita, ha postato su Twitter un’opera d’arte, non particolarmente originale, se proprio dobbiamo trovarle una colpa: una Pietà vaticana di Michelangelo con il corpo di Gesù pittato in nero, chiaro messaggio antirazzista e di fratellanza universale. E ha scritto: “Un’immagine che vale un discorso”. Prontamente i giornali dell’ultradestra cristianista ci informano che grande è l’indignazione dei fedeli di area Ku Klux Klan, che la considerano una provocazione Black lives matter (l’unico fratello nero buono è quello morto). Su un altro giornale caro a quell’area di invasati religiosi un autore che pur dovrebbe avere letto qualche libro scrive che “duemila anni di riflessione teologica dicono che Gesù ha scelto un certo momento storico e quel certo ‘popolo eletto’ per venire al mondo”, e dunque rappresentarlo nero è “una provocazione ai limiti della blasfemia”. Ora, a parte che i volenterosi somari della blasfemia sono gli stessi che in altre occasioni fanno il tifo per gli insulti al Dio degli altri, in occidente siamo tuttavia serenamente allineati a Macron, che dall’alto scranno dell’Eliseo ha sanzionato che la blasfemia è un diritto universale. Il problema dunque dov’è? Resta da dire che il Michelangelo reinterpretato blasfemo non è. Per il solo fatto che duemila anni di serena riflessione artistica ci hanno donato Gesù sbarbatelli e apollinei, Gesù bizantini in dorate vesti e fattezze orientali, Gesù barbuti e olimpici al limite del paganesimo, hollywoodiani Gesù biondi con gli occhi azzurri e quelli estenuati da psicoanalisi dei santini neogotici che vanno forte ai comizi di Salvini. La blasfemia, se c’è, cercatela altrove.

 

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