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Lungo ruscelli d’altri mondi nascono fiori che non ho

Maurizio Crippa

La sciagura aggiuntiva del non poter dire addio e i gesti che provano a restituire umanità, affetto, forse persino un po’ di pace per i nostri morti

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“Tutti morimmo a stento / ingoiando l’ultima voce”. Non impiccati, come nella ballata di François Villon riscritta da De Andrè. Ma quel soffocare è il pensiero che più ci devasta, di tutti i nostri morti. E assieme a quello, le bare di legno ormai allineate nei saloni, nei capannoni, nelle chiese di cimiteri dove non si può entrare per l’ultimo saluto. Per accompagnare. Non lo avremmo pensato mai che sarebbe arrivata una sciagura aggiuntiva così, quella di non poter dire addio, e le preghiere a distanza. Ed è una delle cose che più ci rimarrà nella mente, nell’anima, dopo.

 

E assieme a questo struggimento impensabile ci resteranno però i gesti che provano a restituire umanità, affetto, forse persino un po’ di pace per i nostri morti. Sono i sindaci di certi paesi che accompagnano da soli i defunti nei cimiteri. Sono certi comuni che hanno trovato il modo di fare arrivare dei fiori. Sono quel fiorista della Bretagna che aveva centinaia di piante in magazzino e ha deciso di portarle lui, dove i parenti non potevano arrivare. Sono i sacerdoti che danno la benedizione, in cerimonie che non lo sono per mancanza di tempo, una preghiera e un gesto senza l’accompagnamento del lutto e del pianto. Sono i vescovi delle diocesi che hanno deciso di andare nei cimiteri che sono chiusi, per pregare come ha già fatto il Papa a Santa Marta. Che si creda o no. Ma tutti, tutti hanno riscoperto la nostalgia, cioè la mancanza, di un mondo diverso in cui un fiore a chi è morto lo si può portare. “Gli arcobaleni d’altri mondi / hanno colori che non so. / Lungo i ruscelli d’altri mondi / nascono fiori che non ho”.

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