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Silvia, rimembri ancora il papiro per incartare Settis?

Maurizio Crippa

La strabiliante e lunga storia del Papiro di Artemidoro. E Repubblica che celebra Luciano Canfora e “il riscatto degli studiosi e dei funzionari coraggiosi che denunciarono il vero contro il falso”

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La strabiliante e lunga storia del Papiro di Artemidoro, che la Compagnia di San Paolo di Torino si comprò per 2 milioni 750 mila euro, è giunta alla fine per mano di Antonio Spataro, che ci ha stampigliato sopra il timbro “FALSO” (e manco un tuìt di ringraziamento di Salvini, ingrato). Ma ha una sua cauda di veleno altrettanto gustosa. La storia è complessa, ma sul foglio.it ve la spiega Maurizio Stefanini, il miglior esperto fogliante di falsi editoriali e manoscritti mai scritti, non potendoci permettere Umberto Eco. Nel 2004, il Papiro approdò a Torino, sponsor d’eccezione Salvatore Settis, archeologo insigne della Normale di Pisa, già direttore del Getty Center for the History of Art and the Humanities, che ne ha sempre sostenuto l’autenticità e ci scrisse un fior di librone per Einaudi. Subito scese in campo Luciano Canfora, gran filologo greco pure lui normalista, convinto che fosse un falso.

 

Ora, la cauda è questa. Ieri su Repubblica un’altra insigne grecista, Silvia Ronchey, tira le somme: ha vinto Canfora. E fin qui tutto bene, ma il tono da Erinni reca con sé qualcosa di più. Il reato per il falso è prescritto, “ma resta il riscatto degli studiosi e dei funzionari coraggiosi che denunciarono il vero contro il falso”. La battaglia di Canfora era diventata “un gigantesco simbolo. Tale ormai resterà nella storia degli studi, e non solo: in quella della cultura, e anche, forse, della politica”. Bum. Forse era una storiona diventata il Coppi contro Bartali dei papirologi, e il San Paolo se l’è presa nel bilancio, ma pure la politica? Insiste Ronchey: “Quella per la verità è una lotta solitaria, disinteressata”, ma “l’ostinazione e l’onestà possono vincere… il vero prevale sul falso, sulla disinformazione, sulla fake news, sulla disonestà, materiale e, peggio, intellettuale”. Manco si trattasse della donazione di Costantino.

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Ora: la sòla era costata cara, e qualcuno cercava di limitare le perdite. Ma sulla buonafede di Settis – che pure ha preso un granchio che gli costerà caro in eterno – nessuno aveva mai insinuato dubbio. Tantomeno su Repubblica, che tra l’altro all’inizio tifava Artemidoro. Ma erano ancora i tempi in cui Settis con Rep. collaborava, quando gli facevano sparare contro la riforma dei beni culturali che “l’Italia Spa è sempre in svendita”, o quando nel 2016 gli pubblicarono in pompa magna una lettera a Napolitano contro la riforma costituzionale: “La riforma ricalca quella di Berlusconi”. Ma forse ora che che firma appelli contro la Tav con Tomaso Montanari, Wu Ming e Christian Raimo, insomma è più vicino ai cultural-grillini che alla Real Casa, manco l’onore delle armi: anzi, il sospetto di aver tenuto bordone alla “frode del mercante”. E in cauda: “Neanche la hybris degli intellettuali coinvolti non è più perseguibile… ma è e resterà, nella nostra memoria, imprescrittibile”. Povero Settis, per una volta che sbaglia.

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