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Conte in ginocchio da Bruno Vespa

Maurizio Crippa

Laicisti come siamo diventati, l’esibizione dei simboli religiosi più popolari, e popolani, resta però uno dei riti di passaggio obbligati nella nostra vita pubblica e politica

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Dice un proverbio delle mie parti: “Quònt se ne po pu, se tàcum al bòn Gesù”, e perdonate se la traslitterazione non è esatta, siamo brianzoli. Ma il premier Giuseppe Conte è cresciuto a San Giovanni Rotondo, mi capirà. Laicisti come siamo diventati, l’esibizione dei simboli religiosi più popolari, e popolani, resta però uno dei riti di passaggio obbligati nella nostra vita pubblica e politica. E in cima alla top ten, subito dopo san Francesco ma forse prima di Maria Vergine, c’è indubitabilmente lui: Padre Pio. Il burbero santo frate ci prenderebbe tutti a calci in culo, per la nostra debole devozione, ma amen: quando non se ne può più (ma di già?) e bisogna accreditarsi come uomo del popolo, non c’è rimedio migliore.

 

In confessionale con Bruno Vespa, anche Conte si è sottoposto al rito. Una gag un po’ troppo costruita per sembrare spontanea, ma amen un’altra volta. “Ma lei ce l’ha Padre Pio nell’animo, lo sento” (scrutatio cordis, tale quale al santo). “Tutta la mia famiglia è molto devota”. Cita Paolo VI, il premier che ha nel cuore Aldo Moro. Padre Pio “mi ha insegnato l’umiltà”. “Come tanti, anche lei ha un’immagine di Padre Pio nel portafoglio”, indaga san Bruno. “Sì, la porto”, risponde disarmato. “Ci pensa qualche volta?”. “Eh beh… io ho una mia personale esperienza religiosa quindi prego anche, sicuramente penso anche a Padre Pio”. “Possiamo vederla?”. “Andiamo proprio sul personale…” (qui la sceneggiatura non regge, ma amen). La estrae. “Ah ma proprio… Eh be’, è lui”. Diventare santo subito è un’altra cosa, ma il buon Conte è sulla via di Damasco.

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