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Per un Blackout

Maurizio Crippa

Un ragazzo è morto per questo gioco folle che spaventa sopratutto i genitori. Che c’è, davvero, nella testa di un ragazzino?

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Ricordate la storia di Blue Whale, il gioco sadico o folle di adolescenti che si diffondeva come un veleno nella rete e aveva come premio il suicidio? Veniva dalla Russia, si disse, e faceva stragi. Poi sembrò di capire, a un certo punto, che era tutta una bufala, una leggenda nera. Russia e dunque un fake, roba di troll. Ma fu reale, molto, lo spavento che colpì gli adulti, soprattutto loro, mentre i ragazzi ci scherzavano su, increduli e smagati. In una stanzetta alla periferia di Milano un ragazzo che si chiamava Igor, quattordici anni, che amava la montagna, l’hanno trovato morto soffocato con una corda da arrampicata. È molto dubbio che si sia ucciso volontariamente, ma è vero che aveva appena guardato in rete un video che invita a provare un gioco, chiamato Blackout.

 

Una prova di auto-soffocamento, perché togliersi l’aria fino a svenire misura il coraggio, forse dà l’estasi. Pare che da anni nei paesi anglosassoni lo si pratichi, con nomi come Choking game, Black hole, o Flatline game. E che i morti, in questo caso, siano tanti e accertati. Eppure è uno di quegli incubi che atterriscono soprattutto gli adulti, i genitori. Perché prima e più della realtà, conta questo orrore nostro di vuoto: che c’è davvero, nella testa di un ragazzino? Ed è tanto lo sgomento che, nei commenti, ci si dimentica persino di lui, di Igor. L’ultima regola di Blue Whale, al n. 50 (presunta, ma c’è su alcuni siti) imporrebbe: “Saltate da un edificio alto. Prendetevi la vostra vita”. Forse non è una storia vera. Ma il ragazzo che amava la montagna la vita ce l’aveva.

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