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Padellaro e gli arbitri

Maurizio Crippa

Ora ci aspettiamo che domani l'ex direttore del Fatto chieda pure la separazione delle carriere. Non degli arbitri, ma dei magistrati. Il paradosso è chiaro, no?

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Non vorrei mai essere un arbitro, tanto più in questo caso, al massimo figura di garanzia. Però c’è questo bel paradosso culturale che è divertente osservare. Il Foglio ha da sempre contestato non il ruolo, ma la non-contestabilità dei giudici: nel loro essere troppo spesso arbitri arbitrari, interpreti assai soggettivi del Regolamento, casta non eletta e che non paga mai pegno dei suoi errori. Di recente, il Foglio ha difeso lo status degli arbitri. Non per amore delle loro corna, credo, ma perché da tempo in Italia e nel mondo è sotto attacco qualsiasi idea di autorità, e quindi di giudizio e competenza, tralasciando le menate sulla buona fede. Ora però Antonio Padellaro, già direttore onusto di glorie del Fatto, il giornale della curva sud dei giudici, se ne esce dicendo che gli arbitri dovrebbero rinunciare al loro “libero arbitrio” e che oggi “rappresentano un formidabile e blindato sistema di potere” (casta non elettiva?) e ben venga un “efficace sistema di controllo sugli eventuali errori e di trasparenza”. In più “i membri di questa classe eletta godono di una illimitata franchigia morale” che “non può non sorprendere”, in una società in cui “la cultura del sospetto non risparmia niente e nessuno”. Ohibò, ci aspettiamo che domani Padellaro chieda pure la separazione delle carriere. Non degli arbitri, ma dei magistrati. Il paradosso è chiaro, no? Ma io non saprei giudicare, chiederei soccorso al Var.

(Comunque, Orsato è un cornuto).

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