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Il teorema della Wada è una bufala come MafiaOlimpica

Maurizio Crippa

Tutte le analogie tra il processo al doping russo e quello sulla Trattativa

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Wada è il simpatico acronimo della World Anti-Doping Agency. Ma sarebbe più bello, come acronimo per il giustiziere di tutte le truffalderie sportive, usare “Cado”: Commissione Antimafia delle Olimpiadi. Oppure, sic et simpliciter, chiamarla MafiaOlimpica, come la nota inchiestona di Roma finita in vacca. Nel 2015 la Wada lanciò accuse gravissime contro più di mille atleti e i vertici dello sport russo: avevano costituito un sistematico programma statale per il doping. Con tanto di coinvolgimento di agenti segreti e ministri. Mancavano solo Buzzi e Carminati. Venne chiesta la sospensione degli atleti russi dalle Olimpiadi. Beh, era una bufala. L’inoppugnabile teorema d’accusa è destituito di fondamento.

 

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Ieri il New York Times ha fatto sapere che la Wada ha deciso di assolvere 95 dei primi 96 atleti coinvolti: “Le prove disponibili sono insufficienti per affermare che ci sia stata una violazione delle regole antidoping”. E già qui sarebbe enorme. Ma il peggio, ciò che fa assomigliare la faccenda a un processo sulla Trattativa, è ciò che il direttore della Wada dice candidamente: “Dobbiamo accettare il fatto che l’obiettivo era quello di smascherare un sistema di doping e non le violazioni dei singoli atleti”. Cioè: non era trovare eventuali colpevoli, ma scoprire “un sistema”. Tra cinque mesi i Giochi si terranno in Corea del Sud. Ma anche a Pyongyang, ci sarebbe più garantismo che alla Wada.

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