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Dal familismo jihadista (o vescovile) ci salvi il poliamore

Maurizio Crippa

Quel soffocante universo patri-matriarcale che sta dietro l'attentato di Manchester e che è l’eredità più rompicoglioni del Mediterraneo, tutte le sponde incluse

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Che Dio fosse un concetto pericoloso, e anche un po’ farraginoso, lo avevamo capito da un pezzo senza neanche fare la fatica di essere illuministi. Ma comunque basta non farci caso. Che la Patria fosse l’ultimo rifugio degli imbecilli è pure noto da tempo. Che ci si possa sentire parte di un luogo perché ci si è nati, mette sgomento. E certi cervelloni di sovranisti che ci sono in giro dimostrano che essere nati apolidi, su un barcone, è una botta di culo. Alle radici, di solito, si affezionano i cani. Per pisciare. Ma adesso è arrivato Salman, figlio di Ramadan, fratello di Hashem. E viene il fondato sospetto che la cosa peggiore, nella famosa triade, sia la famiglia. Quell’unione ancestrale e irredimibile di sangue e di interessi, di odii e di obbedienze, di scarrafoni belli. La famiglia Abedi non faceva il jihad.

 

Non per conto di Dio, è evidente. Faceva il jihad come una questione di Famiglia. Una cosa nostra. I figli fanno la volontà dei padri, e tutti aiutano tutti. E questo ci ributta dalle parti del familismo amorale, del Padrino e delle ’ndrine, in quel soffocante universo patri-matriarcale che è l’eredità più rompicoglioni del Mediterraneo, tutte le sponde incluse. Molto religiosa, la famiglia, della tribù Al Albedi. Tribù. Poi è arrivato anche un emerito vescovo, ma proprio un emerito, a dire: “Figli miei, siete morti così, quasi senza ragioni come avete vissuto”. Siete crepati a Manchester, ok, ma c’è di peggio: “Siete venuti al mondo, molte volte neanche desiderati”. Bontà sua, figuratevi se fossero venuti al mondo per far piacere a Dio. Hai voglia ad allargare la famiglia, ti riacciufferanno sempre. Mettetevi le orecchie da coniglietto, e speriamo nel poliamore.

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