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Ragioni musicali per piangere Jonathan Demme

Maurizio Crippa

Il sito IndieWire, che ha dato la notizia della sua morte, ha scritto: “Never made the same movie twice”. Chissà se è vero

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Ha fatto film bellissimi, ma la cosa, ovviamente molto laterale, per cui ero affezionato a Jonathan Demme è che era amico di Neil Young, e per lui ha girato due magnifici, eccentrici concert movie. A voi non fregherà nulla. Ma si erano conosciuti quando il rocker canadese gli mandò una canzone eventuale per Philadelphia. E sebbene l’Oscar per la miglior canzone (apertura) lo vinse Bruce Springsteen con Streets of Philadelphia, anche Neil Young ebbe una nomination per quella finale. Vista così, fu quasi una convention, voluta e un po’ casuale, come le cose che riescono bene, di una generazione liberal. Quella generazione di personaggi un po’ solitari e orgogliosamente indipendenti che hanno sempre fatto quel che hanno voluto, dentro la grande macchina dello showbitz, ognuno per la sua strada. Ognuno le sue strade. Philadelphia è il film bello e struggente sull’Aids per cui passerà alla storia, o almeno alla cronaca di oggi, perché di quel film, che fu l’ingresso nel maistream della cultura di massa di tante cose, e non solo dell’Aids, si parlerà più che degli occhi di Clarice Starling e dei magnifici close up che erano la forma, e la sostanza, dei suoi film. Il sito IndieWire, che ha dato la notizia della sua morte, ha scritto: “Never made the same movie twice”. Chissà se è vero. Il suo primo, magnifico flop, fu Femmine in gabbia, la quintessenza anni 70 del genere “girls in prison”. Perché anche Orange is the new black ha la sua archeologia. Non passerà su Netflix, ma nel caso guardatelo. Long may you run.

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