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Perché l’Italia non è un paese per Gay Talese

Maurizio Crippa
Tocca parlare ancora di Gay Talese, con i grandi è così. Sul New Yorker ha scritto di avere raccolto per anni i racconti di un gestore di motel, voyeur compulsivo, che aveva attrezzato il suo alberghetto in modo da poter spiare le coppie che facevano sesso.
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Tocca parlare ancora di Gay Talese, con i grandi è così. Sul New Yorker ha scritto di avere raccolto per anni i racconti di un gestore di motel, voyeur compulsivo, che aveva attrezzato il suo alberghetto in modo da poter spiare le coppie che facevano sesso. Poi un giorno gli raccontò pure che una volta dal suo lubrico panottico aveva assistito a un omicidio. La storia non è male, era già capitata a Norman Bates. Ma Hitchcock era un cattolico tomista e ne tirò le estreme conseguenze. Il voyeur invece non denunciò, e nemmeno Talese, che lo seppe anni dopo. Sui giornali americani c’è gran dibattito etico. Doveva Talese tradire la sua fonte confidenziale e denunciare? Ha fatto deontologicamente bene a tacere?

 

Puntuale e diligente, Il Post ha riassunto la storia e il dibattito, che vede in campo fior di firme. Chi si straccia le vesti, chi sostiene che la copertura delle fonti è sacra: che accadrebbe al giornalismo se la gente cominciasse a pensare che i cronisti sono spioni e poliziotti? Già, che accadrebbe? Non chiedetelo agli italiani. L’unica cosa sicura è che in un paese in cui i giornalisti si considerano giudici e mettono in pagina senza filtro fonti giudiziarie e fonti deficienti, in cui ci sono programmi che fanno successo col format di Guardia e ladri e indagano le vite degli altri e istigano il pubblico a contattare i carabinieri, in un paese così non si riesce manco a capire di che diavolo stanno discutendo, laggiù in America.

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