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"Dog" di Channing Tatum vive dello spirito del primo "Rambo"

Mariarosa Mancuso

L’incredibile successo del film al botteghino americano ha fatto venire un dubbio al critico del New York Times. Ma se tutti a Hollywood sono liberal, come mai producono un film che esalta il cameratismo militare, più dell’amicizia tra uomo e animale?

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Ottanta milioni di dollari incassati nel mondo. 337 mila euro incassati in Italia. Il doppio record spetta a un film intitolato “Dog”. Diretto da Channing Tatum e Reid Carolin, scritto da Channing Tatum con Brett Rodriguez, recitato da Channing Tatum (un bravo ragazzo che non sa fare soltanto lo spogliarellista). Ha la parte di un ranger dell’esercito Usa, accanto a un altro ranger dell’esercito Usa: un pastore belga che come il soldato ha traumi da combattimento e ha appena perso il suo padrone, ranger pure lui, in un incidente d’auto.

“Tranquilli, il cane non muore”, ha fatto scrivere Channing Tatum sul manifesto (ancora ricordiamo chi non voleva vedere al cinema “Dogman” di Matteo Garrone perché temeva che facessero male ai cani, mentre il “canaro” poteva massacrare impunemente la sua vittima). L’incredibile successo di “Dog” al botteghino americano – no supereroi, no saghe, no Walt Disney – ha fatto venire un dubbio al critico del New York Times A. O. Scott. Ma se tutti a Hollywood sono liberal, come mai producono un film che esalta il cameratismo militare, più dell’amicizia tra uomo e animale?

Il titolo italiano è “Io e Lulù”, se non ve lo dicono prima sembra l’amicizia tra un uomo e il suo cane fedele (di solito uno dei due poi muore). Invece l’uomo e il cane all’inizio di combattono, Lulù è in lutto per il padrone morto, guai se la accarezzi dietro le orecchie (trauma, e del resto anche Channing Tatum ha un cervello danneggiato che lo tiene lontano dalle missioni). Vanno in Arizona per i funerale del ranger umano, e prima di arrivarci stabiliscono una pace temporanea.

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Dei miseri incassi italiani parleremo un’altra volta, davvero sembra di perdere le speranze, chissà se il cinema continuerà a esistere. Speriamo in “Top Gun: Maverick”, con Tom Cruise in divisa militare, pure lui, e un gruppo di giovani piloti da combattimento. I migliori d’America, pronti a distruggere un’arma non convenzionale posseduta da uno stato canaglia. Buttano bombe, a fin di bene. La Hollywood che dovrebbe essere pacifista non lo è affatto – e qui parliamo di film realistici, se andiamo nelle saghe o tra i supereroi è guerra continua. Il mondo come lo conosciamo a volte ne esce malconcio.

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A. O. Scott paragona “Io e Lulù” – perdonate il titolo italiano, rende ridicolo ogni ragionamento – al primo “Rambo” diretto da Ted Kotcheff. Quando Sylvester Stallone non era una montagna di muscoli, né una macchina da guerra, solo un reduce dal Vietnam con la Medal of Honor al petto, infuriato perché i membri della sua unità erano tutti morti per l’Agente arancio. Aveva i capelli lunghi e lo sceriffo della cittadina lo scambiava per un hippie. Un Rambo che tiene fede ai valori morali dell’esercito, non il guerrafondaio che poi lo faranno diventare.

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