Cybill Shepherd con Jeff Bridges in "The Last Picture Show" di Peter Bogdanovich del 1971

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Peter Bogdanovich è la prova che c'è sempre tempo per fare grandi film

Mariarosa Mancuso

A chi venisse in mente di fare il nostalgico, dicendo che di registi così non ce ne sono più: lo credeva anche lui, e poi ha sempre dimostrato il contrario. Da "L'ultimo spettacolo" a "Tutto può accadere a Broadway"

“Tutti a Central Park danno le noccioline agli scoiattoli. Ma se uno vuole dare gli scoiattoli alle noccioline, che c’è di male?”. Era il tormentone di “Tutto può accadere a Brodaway”, l’ultimo film di Peter Bogdanovich. Girato nel 2014, parecchi anni dopo che tragedie personali e rovesci finanziari lo avevano cacciato da Hollywood, racconta un regista teatrale che regala trentamila dollari a una escort, perché segua i suoi sogni (se la ritrova brava attrice, e scopriamo che non era la prima beneficata). Un divertissement che ci aveva fatto ritrovare il regista di “Paper Moon” e “L’ultimo spettacolo”. Grande intervistatore, come dimostrano due magnifici libri, a cominciare dai titoli: “Who the Devil Made It” (interviste ai registi) e “Who the Hell’s in It” (interviste agli attori). A cui vanno aggiunte le monografie su Alfred Hitchcock, Orson Welles, e altre commissionate dal MoMA.

Non era il tipo di regista disinteressato al cinema prima di lui, né al cinema da spettatore (non ci siamo ancora ripresi da un’intervista di tanti anni fa in cui Marcello Mastroianni dichiarava “i film mi piace farli, non guardarli”). “L’ultimo spettacolo” celebra la vecchia Hollywood. Si intende: vecchia quando Bogdanovich, morto ieri a 82 anni, di anni ne aveva una trentina. Non è mai troppo presto per essere nostalgici. Nota, casomai venisse la tentazione di scrivere che registi come Peter Bogdanovich non se ne fanno più: anche lui ne era convinto, ha dimostrato il contrario. Il film, con una strepitosa Cybill Shepherd, è ambientato negli anni 50 in una cittadina del Texas. Al cinema locale stanno per proiettare l’ultimo film, alla vigilia della chiusura definitiva (vi fa venire in mente niente? intanto mezzo secolo è trascorso, le sale ancora esistono, e non c’è neppure la guerra di Corea a guastare la giovinezza). In cartellone c’è “Il fiume rosso” di Howard Hawks, altro regista amato da Bogdanovich. Sarebbe bello trovare il film su una delle piattaforme che già paghiamo, senza sovrapprezzo (l‘offerta migliore è di Rakuten Tv). Ma in fondo chi li vuole vedere, i film in bianco e nero? (Fu un consiglio di Orson Welles, ora è una bizzarria che soltanto Netflix si concede, con il regista giusto).

Ci sarebbe anche “Paper Moon”, ribattezzato “Luna di carta” da un redattore Ansa mai andato al cinema. Bianco e nero con Ryan O’Neal e sua figlia Tatum O’Neal, vincitrice di un Oscar a dieci anni. Sono l’irresistibile coppia che vende bibbie nel Kansas rurale, spulciando gli annunci mortuari. Dicono alla vedova: “Suo marito aveva ordinato questa bibbia, ma ora forse…”. Pausa. Puntuale il denaro arriva, a pagar la bibbia mai ordinata. L’innocente ragazzina andrebbe consegnata a una zia, ma si rivela una truffatrice nata.

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