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A Venezia tra i “Lacci” del film di Luchetti non troviamo alcuna traccia di verità

Mariarosa Mancuso

La domanda è: chi andrà a vederlo al cinema?

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Titolatori pazzi di cinquant’anni fa decisero che un film intitolato “Domicile conjugal” sarebbe diventato per gli spettatori italiani “Non drammatizziamo… è solo questione di corna”. Era di François Truffaut, quarto capitolo – su cinque – della saga Antoine Doinel (l’attore Jean-Pierre Léaud, debuttò come ragazzino da riformatorio ne “I 400 colpi”). Ci abbiamo pensato tutto il tempo – al titolo sulle corna, non al regista francese – guardando “Lacci”. Il film di Daniele Luchetti scelto per inaugurare la Mostra di Venezia numero 77, fermamente voluta e organizzata “dal vivo” dopo la latenza imposta dal coronavirus.

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Titolatori pazzi di cinquant’anni fa decisero che un film intitolato “Domicile conjugal” sarebbe diventato per gli spettatori italiani “Non drammatizziamo… è solo questione di corna”. Era di François Truffaut, quarto capitolo – su cinque – della saga Antoine Doinel (l’attore Jean-Pierre Léaud, debuttò come ragazzino da riformatorio ne “I 400 colpi”). Ci abbiamo pensato tutto il tempo – al titolo sulle corna, non al regista francese – guardando “Lacci”. Il film di Daniele Luchetti scelto per inaugurare la Mostra di Venezia numero 77, fermamente voluta e organizzata “dal vivo” dopo la latenza imposta dal coronavirus.

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Apertura autarchica, sembrava. Arcitaliano il cast: Alba Rohrwacher, Luigi Lo Cascio, Laura Morante, Silvio Orlando, Giovanna Mezzogiorno. Arcitaliano il romanzo di Domenico Starnone da cui è tratto (rafforzato dai pettegolezzi sulle parentele con Elena Ferrante). Fu ribadito in conferenza stampa che no, non era scelta autarchica bensì di respiro internazionale. Distanziati e mascherinati, ieri abbiamo atteso la rivelazione. Dopo che il Leone d’oro alla carriera per Tilda Swinton (una che non sembra di questo mondo, incede come “la donna che cadde sulla terra”) e la conferenza stampa di Cate Blanchett ci avevano fatto provare il brivido delle star.

 
Non è tanto la faccenda delle corna. Storie di tradimenti se ne sono sempre scritte e girate, qualcuno sostiene che sia l’adulterio il grande motore della letteratura (almeno fino a quando gli scrittori si destreggiavano con le trame e i personaggi). Però dei due che sullo schermo si tradiscono ci deve importare qualcosa. E siamo al primo problema del film: Alba Rohrwacher e Luigi Lo Cascio non suscitano nessuna simpatia. Neanche antipatia. Sono figurine ritagliate nella carta, come le bambole con il loro guardaroba. E infatti il reparto costumi si diletta con abiti stampati e stivali con tacco. Il reparto trucco e soprattutto i parrucchieri non hanno invece granché da inventare, il cinema italiano vuole le attrici identiche a se stesse dentro e fuori dal set. Lui ha tradito. Lei lo spinge a confessare, vorrebbe anche i dettagli. Lui dice “aiutami”. Lei lo butta fuori di casa, anche se hanno due figli. Lui va alla Rai di Roma, dove con voce da fine dicitore tiene rubrichette culturali. Lei sta male. Lui scopa con l’amante sul tappeto peloso e le scatta polaroid. All’occasione, riferendosi all’abbandonata, pronuncia frasi del tipo “è difficile soffrire in mondo simpatico”. Oppure fa l’elogio del tradimento, con Jung come scudo.

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Tracce di verità, nessuna. Tutto è artefatto, posticcio, recitazione fa rima con falsità. Oltre al regista, ha le sue colpe una sceneggiatura che è tutto men che parlata. O litigata, come dovrebbe essere. Cerchiamo di non fare spoiler, ma la coppia che si lascia poi si ricuce, anche se malamente, si sa che dopo un po’ l’amante può diventare perfino più noiosa della moglie. Altri attori prendono il testimone, vedremo anche i figli cresciuti prendersi qualche soddisfazione.

 
Spiegano – roba da non crederci, un vizio che i registi italiani da sempre coltivano – anche i lacci, letterali e figurati. Gli attori eseguono gli ordini, quindi solitamente vengono scaricati da ogni responsabilità. Però una parolina, in corso d’opera, avrebbero potuto dirla. E qualcuno avrebbe potuto chiedersi: chi andrà a vedere il film? Lo stesso spettatore che l’anno scorso ha pianto tutte le sue lacrime guardando la meravigliosa “Storia di un matrimonio” di Noah Baumbach?

  
Presentato fuori concorso, “Lacci” sarà in sala a ottobre. La sezione “Orizzonti” si è aperta invece con “Apples”, del regista greco Christos Nikou. Perfetto prodotto da festival: il senso sfugge, quindi ognuno può interpretare il film come gli pare. Aggravante: il coronavirus è in agguato, pronto ad appropriarsi di tutto. Qui, di uno smemorato senza nome che segue un programma di ricupero. Deve reimparare a fare le cose – anche incontrare ragazze, anche portarsele a letto – e fotografarsi. Le mele vengono scelte una per una, e messe nel sacchetto in tempo reale.

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