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Certo, c’è la pandemia, ma la Mostra di Venezia 2020 pare poco invitante

Mariarosa Mancuso

L’attenuante del virus, le otto registe e i titoli in concorso

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Avevamo scritto “autarchica”, quando si sapeva soltanto del film d’apertura: “Lacci” di Daniele Luchetti, dal romanzo di Domenico Starnone. Il direttore Alberto Barbera ha precisato ieri in conferenza stampa che la Mostra di Venezia 2020 non lo sarà affatto. Vigenti le restrizioni di viaggio per i registi e gli attori americani, non ci sarebbe stato nulla di male, le parole servono a capirsi. C’è sempre, in alternativa, il commento alla selezione letto su Deadline: “Global Arthouse”. Sono i film da festival, o d’arte e cultura. Se vogliamo capirci davvero, i film da cineclub che la Mostra di Venezia da un po’ felicemente trascurava. Al punto da premiare l’anno scorso con il Leone d’oro “Joker” di Todd Phillips: un film di supereroi che ha superato nel mondo il milione di incassi, ed era vietato ai ragazzini.

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Avevamo scritto “autarchica”, quando si sapeva soltanto del film d’apertura: “Lacci” di Daniele Luchetti, dal romanzo di Domenico Starnone. Il direttore Alberto Barbera ha precisato ieri in conferenza stampa che la Mostra di Venezia 2020 non lo sarà affatto. Vigenti le restrizioni di viaggio per i registi e gli attori americani, non ci sarebbe stato nulla di male, le parole servono a capirsi. C’è sempre, in alternativa, il commento alla selezione letto su Deadline: “Global Arthouse”. Sono i film da festival, o d’arte e cultura. Se vogliamo capirci davvero, i film da cineclub che la Mostra di Venezia da un po’ felicemente trascurava. Al punto da premiare l’anno scorso con il Leone d’oro “Joker” di Todd Phillips: un film di supereroi che ha superato nel mondo il milione di incassi, ed era vietato ai ragazzini.

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Un altro dettaglio svela che al Lido, dal 2 al 12 settembre, non sarà una Mostra come le altre, trampolino di lancio per i titoli da Oscar. Su 18 film in concorso, 8 sono girati da registe. Beninteso, “selezionate in base alla qualità” (ribadisce Barbera, che l’anno scorso era sotto accusa per il maschilismo della Mostra, e ora non può fare marcia indietro). Quasi la metà, da esibire come fiore all’occhiello. Sono le conseguenze del coronavirus: in tanti hanno deciso di stare fermi un giro (leggi: fino al prossimo Festival di Cannes), liberando posti in gara. 

 

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E’ possibile naturalmente che tra i 13 debuttanti in concorso ci siano fantastici capolavori, girati da registi e registe tutti da scoprire. Volendo fare della critica preventiva – ma mica tanto, ci basiamo sulle parole con cui sono stati presentati in conferenza stampa – abbiamo sentito formule pochissimo invitanti. Come “cinema politico, appassionante e necessario”, a proposito di “And Tomorrow the Entire World” di Julia von Heinz. Oppure “precisione chirurgica” per “Quo Vadis Aida?” di Jasmila Žbanic: frase tollerabile solo per un film comico, ma siamo ben lontani (e l’innocenza è ormai perduta, per noi che abbiamo sbadigliato con “Il segreto di Esma”, Orso d’oro alla Berlinale 2006).

 

Non ci sarà solo Europa. Dall’India arriva “The disciple” di Chaitanya Tamhane. Trama antimoderna: “La musica classica indiana minacciata dalla volgarità del presente”. Non dà sollievo “l’incedere fascinoso”. Amos Gitai porta “Laila in Haifa”, continuando “l’incessante riflessione su due popoli insensatamente divisi” – dagli appunti presi durante la conferenza stampa, mentre faticavamo a ricordare qual è stato l’ultimo film del regista che si potesse vedere e consigliare. Del resto, fuori concorso, c’è l’ennesimo Abel Ferrara con Willem Dafoe, sua controfigura sullo schermo: “Sportin’ Life” (dove si narra l’accoglienza del delirante “Siberia” – in senso tecnico e medico – alla Berlinale).

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Susanna Nicchiarelli racconta “Miss Marx”, la figlia di Karl e del “Capitale”. “Nomadland” di Chloé Zhao – attesissimo, dicono, e proiettato in contemporanea con Toronto – racconta i nuovi nomadi americani. Il coronavirus è un’attenuante, ma non può scusare proprio tutto.

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