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Porno di famiglia al Torino Film Festival

Mariarosa Mancuso

Padre e figlio legati da un cinema a luci rosse di Toronto. Ecco “The Last Porno Show” di Kire Paputts

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“Perdere un padre vuol dire non avere più un ombrello contro le intemperie della vita”. Parola di Chris Offutt, classe 1958 (la rivista Granta una ventina di anni fa lo segnalò nella sua lista di scrittori da tenere d’occhio). Bel disastro, soprattutto se tuo padre ti ha lasciato in eredità 850 chili di pornografia, perlopiù scritta da lui medesimo nei favolosi e libertari anni Sessanta. Un genitore-ombrello tornerebbe utile.

  

In “Mio padre, il pornografo” – da minimum fax, che ha pubblicato anche “A casa e ritorno”, racconti ambientati nel Kentucky – Chris Offutt racconta l’imbarazzo, la tentazione di sgomberare senza neanche sfogliare, e poi la curiosità. Il padre stava sempre chiuso nello studio, solo la mamma dattilografa era ammessa. La pornografia a cottimo era stata avviata per pagare le cure dentarie ai figli, poi era diventata un mestiere redditizio (più della fantascienza, il primo genere praticato), infine una passione esclusiva e divorante.

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Il padre pornografo di Chris Offutt torna in mente guardando “The Last Porno Show”, diretto dal regista canadese Kire Paputts e in programma al Torino Film Festival iniziato lo scorso 22 novembre (prosegue fino al 30). Il giovanotto protagonista eredita dal genitore, che non vede da tempo, un cinemino porno a Toronto, residuato di un’epoca che non conosceva PornHub e neppure le videocassette.

  

È cosa nota e universalmente riconosciuta che tutti i nuovi mezzi di comunicazione, dalla fotografia in poi, ringraziano la pornografia per la generosa spinta ricevuta. Qui sembra di essere nella terra dimenticata dal tempo, anche per via di certe luci e di certo squallore anni Settanta. L’erede chiude il cinema e vuole vendere l’edificio, sfrattando gli inquilini al piano di sopra. I clienti abituali bussano alla porta, in cerca della dose quotidiana. O forse di una poltroncina al caldo dove pisolare. Come racconta Jacques Thorens, a proposito di un cinema d’essai parigino dove lavorava come proiezionista, cassiere, addetto alle pulizie (racconta tutto in “Il Brady”, L’orma editore).

  

Per Thorens non è questione di parentele, con un padre di mezzo arrivano le complicazioni. In “The Last Porno Show” l’erede non aspira al romanzo – di un genere più presentabile in società – ma al palcoscenico. Vuol fare l’attore. Per essere tecnicamente precisi, l’attore che segue il metodo Strasberg. Uno che non si limita a pronunciare le battute, ma esplora il sottotesto, scavando dentro di sé per trovare la verità propria e del personaggio. “Se vuoi un lavoro facile cambia mestiere”, suggerisce la voce dell’insegnante, dal nastro registrato che il giovanotto ascolta in metropolitana.

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I provini sono disastrosi. Ma intanto il cinema porno funziona meglio di una madeleine. Il giovanotto si rivede ragazzino, accanto a papà, mentre sullo schermo passano i film vietati ai minori. Ha ricevuto in regalo un visore con immagini di dinosauri. Quando il genitore annuncia “ecco una scena che fa paura”, deve coprirsi gli occhi con l’apparecchio giocattolo (ma l’audio resta fortissimo, il tirannosauro ansima e il velociraptor si accompagna al rumore di frustate).

 

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Per un doppio programma sul fronte del porno, tra i film del Torino Film Festival c’è anche “The Projectionist” di Abel Ferrara. Nick Nicolaou – immigrato da Cipro – racconta i suoi cinquant’anni in cabina di proiezione. Cominciati in un cinema a luci rosse di Times Square: erano gli anni Settanta, l’età d’oro del porno. Fatta rivivere (con meno nostalgia) nella serie “The Deuce”, con James Franco e Maggie Gyllenhaal.

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