Roberto Benigni e Marcello Fonte, premiato come miglior attore a Cannes (foto LaPresse)

Cannes aggira il ricatto “quote rosa", ma cede a quello del cinema d'autore

Mariarosa Mancuso

Le donne vanno premiate quando se lo meritano. Palma d’oro al giapponese Hirokazu Kore-Eda e non a Nadine Labaki. Ma Cate Blanchett si inventa un premio ad hoc per Godard. Miglior attore Marcello Fonte, magnifico protagonista di “Dogman”

Mentre i royal-watcher calcolavano la lunghezza dello strascico di Meghan Markle e svisceravano altri dettagli matrimoniali, i Cannes-watcher contavano i ritorni sulla Croisette. La giuria del Festival è blindata - non per modo di dire, li chiudono a deliberare e poi dritti alla cerimonia - ma i premiati devono pur tornare a Cannes, vestirsi, salire sullo scalone d’onore. C’è tempo per previsioni e pettegolezzi.

 

La presidente della giuria Cate Blanchett non ha ceduto al ricatto “deve vincere una donna”. Niente Palma d’oro alla libanese Nadine Labaki per “Capharnaum”, con al seguito l’attore ragazzino, rifugiato siriano. Le hanno dato il Premio della Giuria, che vale il terzo posto (a giudicare dall’ordine con cui vengono assegnati). Gran premio della giuria a Spike Lee per “BlacKkKlansman”, la storia di un poliziotto nero che negli anni 70 era infiltrato tra i sostenitori delle pantere nere e riuscì (con un poliziotto ebreo come controfigura) a infiltrarsi anche nel Ku Klux Klan.

Vince la Palma d’oro il giapponese Hirokazu Kore-Eda con “Shoplifters”: famiglia bizzarra, poverissima ma affettuosa al punto da adottare una bambina trovata per strada. La sorpresa sta nel finale, che non riveliamo (ricordiamo però che il regista aveva girato qualche anno fa “Father and Son”, variazione sui bambini scambiati in culla).

 

Fin qui tutto benissimo. Le donne vanno premiate quando se lo meritano, non quando fanno piangere sull’infanzia abbandonata più dei registi maschi. Peccato poi sia arrivata Asia Argento, a ricordare le malefatte di Weinstein minacciando i complici che secondo lei ancora stavano seduti in platea.

 

Aggirato il ricatto “quote rosa”, c’era il ricatto del cinema d’autore, nell’anno in cui hanno cacciato Netflix perché non è poesia ma industria (dicono: il realtà, perché non porta spettatori nelle sale francesi). Qui Cate Blanchett ha ceduto, inventandosi un premio nuovo di zecca per “Le livre d’image” di Jean-Luc Godard (ve lo abbiamo già detto che fece chiudere il festival, nel 1968?). Un blob che tutti possiamo fare a casa pasticciando con Twitter, Instagram, una raccolta di citazioni. E che - beffa delle beffe - non porterà spettatori nelle sale francesi: andrà sul canale televisivo Arte nei musei come istallazione.

 

Intanto Netflix ha comprato i diritti per Usa e Sudamerica di “Lazzaro felice” diretto da Alice Rorhwacher, premio per la sceneggiatura ex aequo con “Tre volti” di Jafar Panahi. E di “Girl”, diretto da Lukas Dhont: Caméra d’or per la migliore opera prima e Palme Queer (un ragazzo si sente femmina e vuole fare la ballerina). Vuol dire che, parlando di cinema, Cannes e Netflix non sono poi così lontani.

 

Palma per il migliore attore a Marcello Fonte, magnifico protagonista di “Dogman”. Il regista Matteo Garrone avrebbe meritato qualcosa anche lui (ma sarà felice lo stesso, se andate a vedere il film che è già in sala). Premio per la migliore attrice - maltrattata - a Samal Yeslyamova per “Ayka”, regista Sergei Dvortsevoy: fame, freddo, bambino abbandonato in ospedale, debiti, coabitazione di lavoratori clandestini a Mosca. Premio per la regia al polacco Pawel Pawlikowski per “Cold War”: bianco e nero raffinato, canzoni popolari, un amor fou che proprio non trascina.