“Metti la nonna in freezer”, ossia le black comedy si possono fare anche in Italia

Mariarosa Mancuso

Evviva Barbara Bouchet che, in un cinema dove gli attori e le attrici non si fanno neppure tagliare i capelli per esigenze di scena, si fa strapazzare

Evviva Barbara Bouchet. In un cinema dove gli attori e le attrici non si fanno neppure tagliare i capelli per esigenze di scena – e vanno sul set con i vestiti da grande magazzino, non si capirebbe altrimenti l’assoluta anonimità dei guardaroba, variabile indipendente da ogni altra caratteristica del personaggio – si fa congelare e sgelare, con tanto di gocciolina che cola dal naso durante il disgelo. (Agli abiti dimessi sempre e comunque fanno da contraltare case immancabilmente troppo eleganti, grandi, centrali, rispetto allo stipendio del personaggio, quasi sempre precario o male in arnese). Barbara Bouchet viene strapazzata nel film “Metti la nonna in freezer”, diretto da Giancarlo Fontana & Giuseppe G. Stasi. Strapazzata per davvero. La sua faccia spunta nel congelatore da dietro i tortellini, l’accomodano seduta perché per il lungo non riescono a farcela entrare. La surgelano, la sgelano quel tanto che basta per metterle tra le mani le carte del burraco, e poi di nuovo nel freezer (“tanto non è che ce la dobbiamo mangiare”). Esce di strada in curva con la carrozzella, atterra con la medesima e si fa sorprendere in posizione imbarazzante. Con un corteggiatore munito di camper che sverna a Bordighera, e appena rimasto vedovo avanza la sua proposta di matrimonio.

 

Per il volo c’è la controfigura, certo. Ma lo strapazzamento della nonna – morta e non denunciata perché la nipote con la pensione della vecchia evita il fallimento del proprio laboratorio di restauro – mostra che le black comedy si possono fare anche in Italia. Paese dove uno dei bestseller più longevi si intitola “Va’ dove ti porta il cuore”: lo ha scritto Susanna Tamaro nel 1986, la nonna si confessa e dispensa consigli alla nipote. Da allora, appena una nonna in un libro o in un film non viene trattata con il rispetto che si deve a un guru, scatta un pregiudizio positivo.

 

 

Basta volerlo fare, tenere le ambizioni basse, senza arie da artisti pronti a dichiararsi incompresi appena qualcuno avanza riserve sul lavoro fatto. Basta prendere una sceneggiatura scritta da Fabio Bonifacci – una delle rare portate sullo schermo che abbia un’idea a sorreggerla, e uno svolgimento professionale (l’altra è come “Un gatto in tangenziale” di Riccardo Milani, con Antonio Albanese e Paola Cortellesi). Basta prendere attrici con i tempi comici giusti (Marina Rocco, sempre bravissima). Basta cominciare svelti. Le operazioni della Guardia di Finanza per stanare gli evasori aprono il film con un bel ritmo evitando la voce fuori campo (la comicità viene meglio se prende spunto da come siamo, non da come crediamo di essere). Menzione speciale per la terapia con il tostapane caldeggiata da Fabio De Luigi. Costa meno di uno psicanalista e mentre ascolta le tue paturnie l’elettrodomestico fornisce pane caldo pronto per il burro e la marmellata.

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