Una scena de La notte dei morti viventi (foto LaPresse)

Romero è la prova che le cose importanti al cinema succedono per caso

Mariarosa Mancuso

I “messaggi” nei film del regista scomparso qualche giorno fa ascoltando la colonna sonora di “Un uomo tranquillo” di John Ford

Le cose importanti al cinema succedono per caso. George Romero non aveva precisato sul copione di “La notte dei morti viventi” che il sopravvissuto agli zombie famelici aveva la pelle nera. C’era scritto soltanto che uno solo si salvava, tra le persone rifugiate nella casetta, e che quell’uno veniva ammazzato dallo sceriffo in preda al panico (spoilerissimo, sì; ma è come dire che nel “Titanic” la nave affonda: lo sappiamo, e lo andiamo a vedere lo stesso). Il nero Duane Jones era semplicemente il più bravo tra gli amici riuniti a Pittsburgh per girare il film, costato 120 mila dollari e per l’epoca piuttosto splatter (avevano calcato la mano nella speranza di farne un successo commerciale). La parte fu assegnata per merito, nessuno ci badò più. Pochi giorni dopo – il 4 aprile 1968 – spararono a Martin Luther King e il finale del film cambiò significato. Critica politica preterintenzionale, potremmo dire.

 

“Quando non ci sarà più posto all’inferno i morti cammineranno sulla terra”, annunciava “La notte dei morti viventi”. Non era pensato come l’inizio di una saga – il regista scomparso qualche giorno fa cercò anche di liberarsi dalla maledizione – e neanche si parlava di zombi: il termine era ghoul (posseduto, viene dal folclore haitiano). “Cammineranno”, conviene ribadirlo: gli zombie velocissimi e aggressivi alla maniera di “28 giorni dopo” di Danny Boyle sono un’indebita variazione. A George Romero non piacevano, né apprezzava la serie “The Walking Dead”, giudicata “una soap opera priva di satira”.

 

Dieci anni dopo girò “Zombi”, in uno dei primi centri commerciali della Pennsylvania. I morti usciti dalle tombe avevano la camicia hawaiana e il ciambellone salvagente, magari anche una pagaia (per citare “Quando la moglie è in vacanza” di Billy Wilder). Il centro commerciale offre scorci e prospettive diverse (parlando di inquadrature) e i morti viventi sulle scale mobili sono particolarmente suggestivi. Ma per colpa della frase “continuano a fare le cose che facevano in vita, era un luogo importante per loro” fu inteso come una critica al consumismo. Forse altrettanto preterintenzionale del nero che si salva dagli zombi e viene ammazzato dal poliziotto bianco. E’ morto ascoltando la colonna sonora di “Un uomo tranquillo”, regia di John Ford. L’altro suo film prediletto – contro ogni pregiudizio – era “I racconti di Hoffman”: l’operetta di Offenbach diretta dalla coppia di “Scarpette rosse” Michael Powell e Emeric Pressburger. Per un omaggio senza zombie, rivedere subito il bizzarro e spaventoso “Monkey Shines - Esperimento nel terrore”. Una scimmietta potenziata da un siero viene addestrata per aiutare un giovanotto tetraplegico. Farà il suo lavoro fin troppo bene, cominciando a uccidere. Alla servizievole creatura sfugge infatti la differenza tra un pensiero omicida del suo protetto e un morto sul divano.