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Anche senza cenone i grandi chef non si disperano e pensano già al 2021

Luca Roberto

Da Heinz Beck a Niko Romito e Filippo La Mantìa: l'imperativo è pensare positivo

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Per il dpcm di Natale avrebbero pronta una cottura flambé. E però, pur consci dell’annus horribilis riservato alla categoria, non si stracciano le vesti. Fanno la conta dei danni e insieme già studiano il menù della ripartenza. Sono gli chef-simbolo, cuochi-imprenditori, a cui il governo vieterà d’indossare il grembiule in quest’ultimo scorcio di 2020. Dice al Foglio Heinz Beck, tre stelle Michelin con il suo ristorante La Pergola affacciato sul quartiere Trionfale, a Roma, che “purtroppo continua a cambiare in continuazione lo scenario. Si parla di una riapertura il 4 gennaio ma non sappiamo altro. Molto dipenderà dalla campagna vaccinale, da quando e come ripartirà il turismo internazionale”. Il cuoco tedesco s’è tenuto al riparo da imprevisti e il menù per Natale ce l’ha bell’e pronto. “Lavoriamo con ingredienti invernali, fortemente indirizzati alla stagionalità, alle preparazioni creative. Abbiamo pensato a una variazione di funghi con una crema di levistico e mandorle e infuso di funghi ossidati. Per racchiudere l’atmosfera natalizia puntiamo su tartufo, spezie e vino rosso”. E così pure il concept appare allineato a fronteggiare la stagione pandemica. “Il nostro obiettivo è coccolare i clienti a 360 gradi, con un servizio curato per far loro dimenticare i mille problemi quotidiani in cui sono impelagati”, spiega Beck. Crede, come ha scritto qualcuno, che il 2020 lascerà un’impronta indelebile sulla ristorazione, che i clienti si disabitueranno a cenare nei ristoranti? “Non appena si potrà torneranno a cercare l’esperienza culinaria di alta qualità, a maggior ragione dopo essere stati costretti a mangiare a casa per tutto questo tempo”.

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Per il dpcm di Natale avrebbero pronta una cottura flambé. E però, pur consci dell’annus horribilis riservato alla categoria, non si stracciano le vesti. Fanno la conta dei danni e insieme già studiano il menù della ripartenza. Sono gli chef-simbolo, cuochi-imprenditori, a cui il governo vieterà d’indossare il grembiule in quest’ultimo scorcio di 2020. Dice al Foglio Heinz Beck, tre stelle Michelin con il suo ristorante La Pergola affacciato sul quartiere Trionfale, a Roma, che “purtroppo continua a cambiare in continuazione lo scenario. Si parla di una riapertura il 4 gennaio ma non sappiamo altro. Molto dipenderà dalla campagna vaccinale, da quando e come ripartirà il turismo internazionale”. Il cuoco tedesco s’è tenuto al riparo da imprevisti e il menù per Natale ce l’ha bell’e pronto. “Lavoriamo con ingredienti invernali, fortemente indirizzati alla stagionalità, alle preparazioni creative. Abbiamo pensato a una variazione di funghi con una crema di levistico e mandorle e infuso di funghi ossidati. Per racchiudere l’atmosfera natalizia puntiamo su tartufo, spezie e vino rosso”. E così pure il concept appare allineato a fronteggiare la stagione pandemica. “Il nostro obiettivo è coccolare i clienti a 360 gradi, con un servizio curato per far loro dimenticare i mille problemi quotidiani in cui sono impelagati”, spiega Beck. Crede, come ha scritto qualcuno, che il 2020 lascerà un’impronta indelebile sulla ristorazione, che i clienti si disabitueranno a cenare nei ristoranti? “Non appena si potrà torneranno a cercare l’esperienza culinaria di alta qualità, a maggior ragione dopo essere stati costretti a mangiare a casa per tutto questo tempo”.

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Se si prova a bussare alla porta di Niko Romito, chef abruzzese, tre stelle Michelin con il suo Reale, a Castel di Sangro, si ottiene più o meno la stessa disamina. “Con il lockdown l’Italia è stata divisa in due modelli di ristorazione. Da una parte le località periferiche, che hanno vissuto un bel rimbalzo quest’estate. Gli italiani sono andati alla scoperta di posti che non conoscevano come l’Abruzzo, ad esempio, che è stata la seconda regione più visitata dopo la Puglia. Dall’altra le città, dove una vera alternanza tra aperture e chiusure non c’è stata e che hanno sofferto fortemente”. E’ il prologo all’abbandono della ristorazione nei grandi centri a favore della periferia e della profonda provincia italiana? “Io ho ristoranti anche a Milano e Roma. Non credo a questa lettura. Bisognerà aspettare ancora un po’ per capire le intenzioni della gente, se tornerà a sentirsi sicura. Il vaccino aiuterebbe”.  

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Ipotizziamo il suo menù di Natale del 2021. Ci illumini. “Quest’esperienza ci ha insegnato che le portate di domani dovranno essere intrise di italianità, concretezza, ricerca, democratizzazione del cibo di qualità a tutti i livelli. Dietro un piatto c’è sempre lo skyline di un paesaggio”, rimarca Romito. “E poi mai come oggi ci siamo accorti del valore della salute, di quanto sia interconnessa a ciò che mangiamo. Possiamo diventare un modello per le cucine di tutto il mondo anche in questo”. C’è un ingrediente che ha sintetizzato più di altri questo infausto 2020? “Una pagnotta di pane. Abbiamo visto gli italiani svuotare gli scaffali per accaparrarsi il lievito. E’ emblematico perché dietro a ogni fetta di pane c’è sempre una storia”.  

 

A Filippo La Mantìa, chef palermitano e milanese d’adozione, invece la mattina di ieri ha fatto venire in mente una canzone di Lucio Dalla. Non Milano (“sempre pronta al Natale, ma quando passa piange e ci rimane male”) ma l’Anno che verrà. “Sembra sia stata scritta oggi”, confida. “Se per una volta saltiamo i cenoni non succede nulla. In famiglia cucinerò la pasta con i broccoli al tegame. Ma per l’anno prossimo ho già pronto un menù i cui ingredienti saranno la consapevolezza, la semplicità e poi il dolce: la famiglia”. Del resto, “la televisione ha già detto che il nuovo anno porterà una trasformazione, e tutti quanti stiamo già aspettando”.

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