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la visita di francesco

L'asse privilegiato che lega il Papa a Orbán

Francesco va a Budapest e rinsalda l’alleanza antimilitarista con il premier ungherese (che gongola)

Matteo Matzuzzi

Sulla guerra in Ucraina, non c'è un paese europeo quanto l'Ungheria che rispecchi la posizione della Santa Sede. Anche se la Segreteria di stato appare ben più prudente nei confronti del leader magiaro. Il viaggio del Pontefice 

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Papa Francesco aveva promesso che sarebbe tornato in Ungheria dopo la mezza giornata trascorsa a Budapest nel settembre del 2021, quando celebrò la messa conclusiva del Congresso eucaristico internazionale. E così sarà, per tre giorni, dal 28 al 30 aprile. Inizialmente, secondo i desiderata ungheresi, il programma avrebbe dovuto essere più ampio (con visita alla grande abbazia di Pannonhalma e trasferimento vicino al confine con l’Ucraina, in modo da salutare un gruppo di profughi che lì ha trovato riparo dagli orrori della guerra), ma di certo Viktor Orbán non può lamentarsi: sono in pochi, regnante Francesco, a poter vantare di aver accolto due volte a casa propria il Pontefice. 

 

Il fatto è che su parecchi dossier la posizione della Santa Sede è assai vicina a quella di Budapest: se il Papa ha perfino lodato l’ecologismo magiaro – “Chapeau a voi ungheresi, la coscienza ecologica che voi avete è impressionante” – con Orbán, infatti (che Francesco incontrerà di persona per la quarta volta in dieci anni), si condivide l’insofferenza per il continuo invio di armi in chiave anti russa e, di conseguenza, si è d’accordo sull’inopportunità di favorire escalation belliche sposando la causa dell’allargamento della Nato. “Le armi non transitano in territorio ungherese perché non vogliamo ampliare il conflitto, speriamo in una soluzione diplomatica”, diceva il vicepremier Zsolt Semjén. Contrario, poi, Bergoglio è pure sul sistema di sanzioni comminate a Mosca, che a suo giudizio più che penalizzare la cerchia putiniana finisce per abbattersi sulle famiglie già provate dal conflitto. Sui migranti, poi, Francesco ringraziò pubblicamente il premier ungherese quando quest’ultimo si presentò in udienza in Vaticano, il 21 aprile dell’anno scorso. Donandogli una formella in bronzo raffigurante san Martino di Tours, il Papa gli disse: “Questo l’ho scelto per lei, san Martino che è ungherese, e ho pensato che voi ungheresi in questo momento state ricevendo tutti questi profughi”. Quindi, i saluti: “Dio la benedica, benedica la sua famiglia e l’Ungheria”, diceva Francesco davanti all’interlocutore.  Diversi osservatori hanno visto nel viaggio annunciato a Budapest un tentativo – l’ennesimo – del Pontefice di farsi promotore di una mediazione fra Kyiv e Mosca, almeno per ottenere una sorta di tregua. In questo senso, Orbán sarebbe il partner ideale, sia perché è il leader comunitario più in sintonia con Vladimir Putin, sia perché è colui che più frena rispetto all’ulteriore “militarizzazione” del conflitto. Posizione, questa, assai apprezzata in Vaticano. Al punto da aver anche fatto passare in secondo piano il trattamento riservato dal governo ungherese ad altri migranti quelli della rotta balcanica. Non è un caso che il cardinale Michael Czerny, prefetto del dicastero per lo sviluppo umano integrale, abbia auspicato già nei mesi scorsi che “l’abbraccio” mostrato da Budapest nei riguardi dei profughi ucraini si allarghi anche a comprendere altri popoli in fuga dalla fame e dalla guerra.

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Di Orbán in Vaticano – ma sarebbe più corretto dire a Santa Marta, ché le posizioni in Segreteria di stato risultano non del tutto sovrapponibili a quelle della residenza papale, sul dossier ucraino – si apprezza l’indipendenza di giudizio manifestata nella scarsa volontà di schierarsi senza tentennamenti dietro alla macchina bellica statunitense, sostenuta dalle armi della Gran Bretagna e della Francia, paesi verso i quali il Papa nutre una freddezza diplomatica evidente e acclarata. Che poi il premier ungherese riesca nella sfida di portare attorno al tavolo Zelensky e Putin sembra un’impresa ardita, ma a Francesco interessa premiare i buoni propositi e lo sforzo di volontà. La visita di tre giorni è un vero attestato di fiducia, anche perché Francesco – e l’ha sottolineato anche di recente – preferisce visitare, soprattutto in occidente, paesi di periferia, di cui si parla poco, mete che raramente sono poste sotto i riflettori mediatici. In Europa, tra gli altri, ha visitato i paesi baltici, l’Albania, Lesbo e Lampedusa, i Balcani orientali. Ora andrà in una delle storiche capitali. Non a Berlino o Parigi, ma a Budapest. Quando la Santa Sede vuole recapitare messaggi sonori alle cancellerie internazionali, sa come farlo affinché il rumore si senta bene amplificato.

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