Ansa 

In una società plurale non può esistere una politica a priori “cattolica”

Sergio Belardinelli

Non è più tempo di partiti e contenitori ispirati o legittimati dall’alto. Si pensi piuttosto a costruire uno spazio culturale

Sul Corriere della Sera del 17 agosto Andrea Riccardi ha riproposto la questione cattolica, “Questione cattolica, una centralità da ritrovare”, mostrando quanto essa sia oggi “periferica nella politica”. In un editoriale sullo stesso giornale del 29 agosto gli ha fatto eco Ernesto Galli della Loggia, “L’eclissi cattolica in politica”, il quale cerca di spiegare il perché di questa eclissi, di questo “precipizio nell’irrilevanza pubblica”, facendo leva su un punto che, sebbene non esaustivo, è certamente molto importante: l’odierna fluidità dell’identità cattolica; una fluidità che la renderebbe “indefinibile” e quindi incapace di porsi come una vera protagonista del dibattito pubblico.

 

“Per esistere, dice infatti Galli della Loggia, bisogna consistere. Ma oggi il termine cattolico può consistere in molte cose molto diverse tra loro: in un adepto di Sant’Egidio candidato del Pd come in un innamorato della lezione di don Giussani militante nel centrodestra, in un estimatore del ‘gusto mezzo’ di Montini o in un bergogliano tutto ecologia e periferia”. Per non dire delle diverse sensibilità teologico-religiose in ordine a temi scottanti come aborto, guerra, ecc., sui quali i cattolici sono tutt’altro che compatti. 


Nel tentativo di difendersi dai molteplici attacchi della secolarizzazione, questa in estrema sintesi la tesi di Galli della Loggia, il cattolicesimo avrebbe progressivamente eroso i suoi cardini identitari, a cominciare dall’autorità papale, trasformandosi “in un fatto eminentemente individuale” che ognuno definisce ormai come meglio crede. “A tenerlo in qualche modo insieme sembra ormai essere rimasta solo una cosa: la figura del sacerdote al cui ruolo viene comunque riconosciuto da tutti i fedeli il carisma di unico mediatore del sacro”. Per il resto, “grande disordine sotto il cielo” e cattolici “politicamente muti”.


Non starò a discutere i diversi modi, spesso infelici, in cui in passato si è cercato di rispondere alla questione dell’impegno dei cattolici in politica. Ad esempio, condivido in pieno quanto Galli della loggia sostiene a proposito del fallimento dell’illusione che dopo la fine della Dc ci si potesse affidare alla sinistra ex Pci per “chissà quale rinnovamento del paese”; condivido altresì quanto denunciava Riccardi a proposito di una chiesa chiusa “dentro il quadrato ecclesiastico, nonostante gli inviti di papa Bergoglio a uscire”; ritengo invece che il tentativo del cardinale Ruini di riaggregare (culturalmente, non politicamente!) i cattolici intorno alla questione antropologica potrebbe essere ancora oggi una carta importante, non tanto e non soltanto per difendere l’identità cattolica, quanto per offrire a tutti, cattolici e laici, una visione del mondo, un orizzonte colturale che aiutino ad affrontare in modo “umano” le grandi sfide e le minacce del tempo presente.

 

Detto in altre parole, so bene che oggi, e Galli della Loggia lo dice in modo impeccabile, nulla di rilevante sembra venire dal mitico “mondo cattolico”, che vescovi e laici sarebbero ormai rassegnati all’idea che l’identità cattolica è soltanto una “finzione” e che forse poca attenzione viene dedicata alla formazione dei sacerdoti, rimasti davvero come dice Galli della Loggia gli unici, riconosciuti mediatori del sacro. Ma a parte questo senso di impotenza invero un po’ scoraggiante che viene oggi dai vescovi italiani, questa loro difficoltà a insistere sul Dio di Gesù Cristo come unica cosa da offrire al mondo e unica scaturigine di una vera identità cattolica che possa diventare attraente anche per gli altri; considerato altresì quanto diceva giustamente Andrea Riccardi sulla Chiesa cattolica che continua a essere comunque “la più grande rete sociale del paese”; considerato tutto questo, la domanda che provocatoriamente mi verrebbe da porre è: siamo sicuri che la “fluidità” di cui stiamo parlando sia politicamente un male? Sul piano teologico certamente lo è; ma sul piano politico avrei qualche dubbio.  


In una società plurale, liberale e democratica faccio fatica a pensare che esista una politica “cattolica” o che i cattolici a priori debbano votare questo o quel partito; esiste invece una buona politica, che ovviamente può essere ispirata anche da idee cattoliche, ma il cui banco di prova è dato principalmente dagli obiettivi concreti che persegue e dalla competenza e dal realismo con cui questi obiettivi vengono perseguiti. Ciò che voglio dire è che non esiste, almeno secondo me, una politica cattolica dell’istruzione o dell’immigrazione (scelgo ostentatamente questi temi perché sappiamo tutti quanto essi stiano a cuore ai cattolici), ma semplicemente una buona o una cattiva politica. Questo almeno mi sembra l’esito auspicabile di una secolarizzazione che abbia fatto serenamente il suo corso. Per questo ritengo e spero che, quando si tratta di votare, anche i cattolici, come tutti gli altri, votino semplicemente il partito che in coscienza ritengono meno peggio. 


Mi rendo conto ovviamente che per qualcuno il partito meno peggio può essere ancora quello che riflette meglio il “mondo cattolico” o le indicazioni (politiche!) del magistero. Ma, da liberale un po’ all’antica, diffido sempre di una politica che tiene dietro più alle convinzioni palingenetiche che alla realtà e al merito di questa o quella misura. Quando in politica si sventolano bandiere religiose è sempre un brutto segno; è la riprova che, per una ragione o per un’altra, la politica si trova a essere sovraccaricata di istanze che potrebbero non essere compatibili con un assetto liberale e democratico. 


Detto questo, sono quindi pienamente d’accordo con Galli della Loggia sul fatto che, per poter almeno sperare di riacquistare un minimo di peso politico, i cattolici dovrebbero accettare almeno “due condizioni”: rinunciare ad agire previa legittimazione dall’alto, da parte di qualche vescovo o cardinale se non addirittura il Papa, e rassegnarsi a rappresentare “necessariamente solo una parte”, magari “unendosi anche a chi proviene da fedi o culture politiche differenti ma non incompatibili”. Da questo punto di vista, anziché affannarsi velleitariamente, spesso soltanto a tavolino, per dar vita a un nuovo partito politico, sarebbe forse meglio lavorare alla costruzione e al consolidamento di uno spazio politico-culturale all’interno del quale la libertà e la dignità di ogni uomo diventino la bussola di ogni azione politica.

Di più su questi argomenti: