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Basta pessimismo, siamo cristiani

Viaggio nella periferia della fede europea, l’Olanda dove chiudono due chiese a settimana. La rinascita sarà possibile grazie ai giovani,  “veri credenti”. Intervista all’arcivescovo di Utrecht, il cardinale Wim Eijk

Matteo Matzuzzi

La crisi della fede, il problema di un'Europa occidentale dove si crede sempre meno. Tutto perso? No, ma bisogna lavorare tanto e avere pazienza. La soluzione l'ha data Benedetto XVI: essere minoranza creativa

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“Una volta ho parlato in un’omelia del diavolo, e una signora si è lamentata perché non le sembrava opportuno. Secondo lei era un tema da evitare, non bisogna spaventare la gente”

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“Una volta ho parlato in un’omelia del diavolo, e una signora si è lamentata perché non le sembrava opportuno. Secondo lei era un tema da evitare, non bisogna spaventare la gente”

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(Wim Eijk,  arcivescovo di Utrecht)

 

Le navate delle antiche chiese trasformate in piste per appassionati di skateboard o per ballerini da weekend, vecchie cappelle convertite in eleganti camere di bed&breakfast, le sacrestie adattate a sale da tè. Quando si parla di secolarizzazione, di crisi del cristianesimo, di fede che si spegne, l’esempio è sempre quello da decenni. L’Olanda. Le sue cattedrali cattoliche ormai ridotte a museo, i suoi banchi non più occupati se non da incrollabili settanta-ottantenni. I giovani che si dichiarano atei e che sorridono quando un intervistatore domanda loro se credono in Dio, quasi fosse un quesito fuori dal tempo, degno di qualche clan di bigotti che hanno scelto la messa domenicale anziché l’iscrizione al circolo di bridge. I numeri non hanno bisogno di troppe interpretazioni: dal 1965 al 1975 c’è stato un dimezzamento dei fedeli che andavano a messa la domenica. Il trend ha subìto un rallentamento dal ’75 in poi, ma senza invertire la tendenza. Si chiudono ogni settimana due chiese, cattoliche e protestanti. I cattolici che vanno in chiesa la domenica erano 385 mila nel 2003 e 186 mila nel 2015. Un calo del 52 per cento. In poco più di un decennio sono state chiuse 269 chiese (su un totale di 1.782). Meno del 50 per cento dei cattolici fa battezzare i figli. Che cos’è successo? “Per molto tempo l’Olanda è stato un esempio in Europa per quanto riguarda la fede cattolica”.

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A dirlo, in una lunga conversazione con il Foglio, è il cardinale Willem Jacobus Eijk, arcivescovo di Utrecht che da poco ha scritto assieme ad Andrea Galli Dio vive in Olanda (Ares Edizioni). Un titolo ambizioso, quasi provocatorio, dato il contesto. Eppure, Eijk è convinto che nonostante tutto, davanti ai portoni delle chiese sprangati e al disinteresse collettivo, lì Dio c’è ancora. “Avevamo un surplus di sacerdoti, ordini religiosi e congregazioni. Ecco perché, nel secolo scorso, molti missionari nel mondo provenivano dalla piccola Olanda. Ma presto si è capito che le fondamenta di quella orgogliosa colonna cattolica erano molto meno solide di quanto sembrasse. Subito dopo la Seconda guerra mondiale, la vita della Chiesa in Olanda si è rivelata essere basata soprattutto su costumi sociali e poco su un rapporto personale tra le persone e Cristo. Questo problema era stato avvertito già prima: anche negli anni Venti e Trenta, alcuni preti erano preoccupati dalla limitata profondità che aveva la vita religiosa in molti loro parrocchiani. E a causa di questa limitata profondità della loro relazione con Cristo, i cattolici olandesi si sono trovati senza difese contro l’individualismo che iniziava a emergere negli anni Sessanta. Qui siamo andati avanti con le suppliche per avere preti sposati e tutti i tipi di esperimenti liturgici. La gente voleva adattare Dio e la Chiesa ai propri desideri e alle proprie idee. Tutto questo era destinato a fallire”.

 

Da dove arriva questo individualismo? “La causa principale è stata l’aumento della prosperità. Quel che è rimasto è un individuo con una vaga consapevolezza che c’è ‘qualcosa di più alto’, ma non osa chiamarlo Dio. Inoltre, l’individualista è propenso a considerare come ‘buono’ ciò che gli dà una buona sensazione, e come ‘male’ ciò che gli provoca l’effetto opposto. La conseguenza è stata una delle crisi di fede più profonde della storia, diffusasi rapidamente in tutto il mondo occidentale. Ciò si è manifestato in tutti i campi: pensiamo alla discussione sul celibato, gli esperimenti liturgici, i dibattiti su questioni morali come il divorzio, l’uso di contraccettivi, l’aborto, l’eutanasia”. Di conseguenza, “il trasferimento della fede è stato trascurato in molte scuole e parrocchie e un’intera generazione è cresciuta con poca conoscenza dei contenuti della fede cattolica. Più della metà dei genitori cattolici non fa battezzare i propri figli. Ora stiamo lentamente riparando quel danno usando, tra le altre cose, buoni metodi catechetici. Questo, però, sta accadendo lentamente e la fine del declino non è ancora in vista”. 

 

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Dice il cardinale nel suo ultimo libro: “Chi ha il coraggio di avere altre idee rispetto all’opinione pubblica dominante si scontra con il sistema. In questa cultura individualista l’io si pone su un palcoscenico e vede gli altri come spettatori. L’iper-individualista non vuole un essere che lo trascenda, come la famiglia, lo stato, la Chiesa, Dio”. Secondo un’indagine sociologica realizzata nel 2016, “un po’ più della metà dei cattolici olandesi credeva che Gesù è il figlio di Dio o almeno che è mandato da Dio. Molti olandesi sanno ancora cosa si celebra a Natale, grosso modo, cioè la nascita di Gesù. Ma il significato della Pasqua e ancor più della Pentecoste sfugge ai più”.

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Eppure, il cardinale Eijk, medico e bioeticista, non dispera. Una strada possibile c’è, anche se piena di ostacoli. “Sul volo papale che lo portava in Repubblica ceca, nel settembre del 2009, Papa Benedetto XVI disse che ‘normalmente sono le minoranze creative che determinano il futuro, e in questo senso la Chiesa cattolica deve comprendersi come minoranza creativa che ha un’eredità di valori che non sono cose del passato, ma sono una realtà molto viva ed attuale’. Ed è proprio questo il ruolo che la Chiesa romano-cattolica giocherà in Olanda nel prossimo futuro. Le minoranze creative, come le ha descritte Papa Benedetto, non sono dissimili da ciò che l’autore americano Rod Dreher ha descritto nel suo libro L’opzione Benedetto. Recentemente ho citato questo libro durante una celebrazione in occasione della commemorazione annuale a Utrecht di san Villibrordo, l’apostolo che porto la fede cattolica in Olanda dall’Irlanda. Dreher si sofferma su ciò che Benedetto da Norcia, il padre del monachesimo occidentale, fece dopo la caduta dell’Impero romano. Roma cadde in un grave declino morale, e fu devastata dalla corruzione. Benedetto decise di lasciare Roma, inizialmente si ritirò da solo in una grotta e in seguito in monasteri con persone che la pensavano allo stesso modo, al fine di sperimentare la sua fede in Cristo, adorare Dio e fare penitenza. Furono i monasteri benedettini, non la società, a mantenere la civiltà romana e la cultura cristiana dopo la caduta dell’Impero. Dreher non intende dire che i cristiani in questa cultura post cristiana dovrebbero ritirarsi completamente dal mondo per vivere nei monasteri”, dice il cardinale Eijk: “Anzi, i cristiani devono rimanere attivi nella società e in politica e far sentire la loro voce in questi contesti. Noi dobbiamo anche continuare a condividere il Vangelo in modo aperto. Attraverso la ‘opzione benedettina’, Dreher vuole dire che i cristiani usano la saggezza dei monaci per costruire comunità che consapevolmente scelgono di testimoniare contro la cultura post cristiana. Vorrei metterla positivamente: far conoscere il Vangelo di Cristo nella nostra cultura ovunque possibile. Possono farlo come minoranza creativa, come l’ha definita Papa Benedetto XVI: in un dialogo intellettuale, etico e umano con la società. E’ importante che le nostre comunità di fede cristiana siano comunità solide dove i cristiani si sostengano l’un l’altro e trasmettano la fede in Cristo alle future generazioni”. In Olanda lo si vede già: “In chiesa ci viene molta meno gente, ma quelli che sono rimasti sono più credenti, soprattutto i giovani”.

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Il cardinale Rainer Maria Woelki, arcivescovo di Colonia, ha recentemente detto che il problema non sono i preti sposati o le diaconesse, ma il fatto che la gente non sa più chi è Dio e non sa cos’è la Chiesa. E’ questo, diceva Woelki, il punto fondamentale. Basta discussioni sociologiche o meramente culturali: il problema è la fede. Il cardinale Eijk, sul cui libro in copertina è riportato il celebre passo del Vangelo di Luca “Ma il Figlio dell’uomo, quando verrà, troverà la fede sulla terra”, è d’accordo con il confratello: “In Europa occidentale aumenta sempre di più l’analfabetismo religioso. Un’intera generazione  non trasmetterà la fede agli altri. Lo si può constatare nelle scuole, sui media, in politica: c’è un’enorme ignoranza su Dio, la fede e la Chiesa. In queste circostanze è davvero difficile far passare il messaggio della Chiesa. I credenti sono subito definiti idioti. Spesso si legge, soprattutto sui social media, che uno che crede ancora è uno stupido”. Siamo senza speranza, dunque? No, perché “nelle grandi città si vede che molti nuovi cattolici, persone che consapevolmente scelgono la fede romano-cattolica in età adulta, sono più istruiti. Queste persone confrontano con il loro intelletto il vuoto e il desiderio che hanno scoperto dentro di loro. Loro possono essere ambasciatori della fede, trasmettendola con l’uso della parola. Di questo abbiamo un grande bisogno nella nostra società contemporanea. Solo quando le persone sono in grado di parlare bene della loro fede e nelle scuole e parrocchie viene impartita una buona catechesi, l’ignoranza rispetto a Dio e alla Chiesa può essere combattuta. Tra l’altro, i cattolici che praticano la loro fede sono generalmente più istruiti”.

 

Fa specie che l’Olanda, con le sue grandi cattedrali, oggi sia una sorta di deserto. “Tutti noi – osserva Eijk nel libro – conosciamo storie di sacerdoti che sotto il comunismo hanno sofferto per la propria fede e hanno perseverato con coraggio. Storie impressionanti. Quei sacerdoti però avevano una cosa, in genere: parecchi fedeli che volevano conoscere Cristo. Questa è la differenza con lo scenario che ci si apre davanti: oggi nell’Europa occidentale il prete incontra spesso resistenza o, peggio ancora, una profonda indifferenza. Se difende l’autentica fede cattolica è posto sotto giudizio, deve giustificarsi per le sue affermazioni in ambito morale. Deve giustificarsi lui per gli abusi commessi nella Chiesa da altri”. Situazione complicata, ma che travalica i confini olandesi. “I monaci irlandesi, inglesi e scozzesi diffusero il Vangelo in Europa occidentale tra il Settimo e l’Ottavo secolo – dice al Foglio il cardinale arcivescovo di Utrecht – Ciò segnò l’inizio di un rigoglioso cristianesimo nel continente. E da questo continente la fede in Cristo si è diffusa in tutto il mondo. La storia ha dimostrato che la fede non garantisce di per sé l’unità: per molti secoli, la politica e il potere si sono rivelati essere molto più importanti dei credo religiosi. Dopo la Seconda guerra mondiale, però, cattolici del calibro di Robert Schuman fecero da balia alla Comunità europea. L’Europa è costruita su basi che richiamano l’insegnamento sociale cristiano. Negli ultimi decenni, le radici cristiane del nostro continente non sono più così visibili. L’Unione europea, dopotutto, rifiuta di richiamarsi a esse. Fu san Giovanni Paolo II che, nel documento Ecclesia in Europa del 2003, argomentò in modo forte per l’inserimento del cristianesimo e dei valori cristiani nella costituzione comunitaria. Papa Benedetto XVI ha anche avvertito che ‘non è possibile costruire davvero una casa comune europea ignorando l’identità dei popoli del nostro continente’. Se neghiamo le nostre radici cristiane, indeboliremo le basi di un’Europa comune. L’Europa ‘delle cattedrali’, come la chiamò Schuman, è stata barattata per un’Europa di data center e di centri per la grande distribuzione attraverso cui l’europeo individualista e soprattutto neoliberale fornisce a se stesso ogni comfort”.

 

 

L’Olanda è la terra dove nell’ultimo mezzo secolo è stato sperimentato tutto ciò che va contro il concetto di tutela della vita dal concepimento alla sua fine naturale. A settembre, la congregazione per la Dottrina della fede ha pubblicato la lettera Samaritanus bonus, una risposta chiara sull’eutanasia e il rispetto della vita. Il cardinale Eijk è olandese e medico, per cui l’argomento lo conosce bene: “L’assoluta protezione della vita è stata scambiata con l’illusione che noi abbiamo il diritto di disporre dei nostri corpi, della nostra biologia umana e della nostra esistenza in misura molto ampia, anche in una direzione drastica: disporre  della vita e della morte. L’estremo individualismo dell’uomo moderno gioca un ruolo enorme in questo sviluppo. L’individualista, negando l’universale ed essenziale valore della sua vita, pensa che lui solo è in grado di giudicarla. In Olanda abbiamo visto come negli ultimi decenni – benché i vescovi di questo paese abbiano difeso in modo chiaro il valore essenziale della vita umana – l’applicazione dell’eutanasia, del suicidio assistito e del proposito di porre termine a un’esistenza umana senza una richiesta della persona coinvolta si sia allargata sempre di più. Nonostante i nostri avvertimenti sul pericolo di aver intrapreso una china pericolosa, è precisamente quanto è accaduto negli anni recenti: il criterio della sofferenza senza speranza e insopportabile viene interpretato in modo sempre più ampio: è diventato una sorta di diritto che le persone pensano di poter rivendicare. I cattolici sono parte della società odierna e quindi possono a volte trovare complicato mantenere salde le proprie convinzioni considerato ciò che li circonda, anche perché la pressione arriva dalla stessa società. E’ buona cosa, quindi, che la congregazione per la Dottrina della fede abbia formulato l’insegnamento della chiesa sull’eutanasia in modo così chiaro: la protezione della vita è assoluta e dunque l’eutanasia non è ammissibile in nessun caso. Questo si applica a quanti lavorano nel settore medico: mai, in nessuna circostanza, possono cooperare con le richieste di eutanasia. Un altro significativo elemento nel documento riguarda la cura pastorale di quanti chiedono l’eutanasia. E’ importante stare loro accanto e, se possibile, convincerli a recedere dalla loro intenzione. Ma la Lettera chiarisce anche che non è consentito essere presenti nel momento in cui l’eutanasia viene praticata. Dopotutto, ciò potrebbe essere interpretato come un via libera alla scelta. Un prete non può dare l’assoluzione, amministrare l’unzione degli infermi e dare il viatico a chi persiste nella decisione di procedere all’eutanasia. 

 

Ma la Chiesa di domani come sarà, quali sono le sfide che ha davanti? In Olanda, ha detto Eijk nel libro scritto con Andrea Galli, “sono rimasti coloro che credono, che pregano, che hanno un rapporto personale con Cristo. Con le nuove generazioni si può parlare del Paradiso o dell’Inferno senza suscitare scalpore, si può parlare dei veri contenuti della nostra fede senza che la gente protesti o vada via in polemica. Ci vuole tempo. Il vero credente soffre ma resta fedele. E chi rimarrà nella Chiesa sarà il vero credente. Io ho questa fiducia”. Al Foglio dice: “La sfida principale nei prossimi anni sarà  di rimanere fermi nella nostra fede. E il nostro primo dovere, ora, è di mettere a posto le cose in casa, sistemando i disaccordi devastanti tra i cattolici sugli insegnamenti della Chiesa. E poi, ristabilire la giusta celebrazione della liturgia e l’annuncio della fede in Cristo. Solo questo può essere rilevante nella nostra società individualista. Dobbiamo  mantenere un dialogo con la società, ma non adattarci alle ultime tendenze. Ciò che va ora di moda non lo sarà tra un anno. La Chiesa deve offrire la verità eterna. Sono convinto che dopo questa èra individualista ci sarà una reazione che farà in modo che la Chiesa sarà in grado di  trasmettere in modo migliore il suo messaggio. Fino ad allora,  dobbiamo essere pronti a ricevere la grazia di Dio, celebrando l’eucaristia, meditando quotidianamente la Parola di Dio, pregando. In altre parole, dobbiamo mettere abbastanza olio nelle nostre lampade affinché non si spengano”. 
 

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