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La riflessione

Bergoglio ha mostrato una creatività religiosa di cui il cristianesimo ha bisogno

Alfonso Berardinelli

Il Pontificato di Francesco è al tramonto? Andiamoci piano

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Si potrebbero dire chissà quante cose sulla politica e sulla spiritualità di molti Papi e in particolare sul rapporto fra l’una e l’altra. Sembra però che papa Bergoglio riesca a suscitare più interrogativi e contrasti del solito. Già questo è un chiaro segno che la sua originalità innovativa e la particolarità del suo carisma hanno messo in discussione quella certa pigra routine che tende a prevalere nell’idea che “si vuole avere” di un Papa. Ciò che in lui è sia uno stile che un programma ha quindi già raggiunto in gran parte il suo scopo: scuotere e risvegliare le coscienze imponendo di pensare e vivere il cristianesimo in più diretto, concreto e dinamico rapporto con la realtà presente. Una religione non è e non può essere soltanto richiamo al passato, alla tradizione, a un patrimonio dottrinale. Si tratta infatti di essere cristiani ora, nel presente della propria unica e personale vita. Non c’è religione che non sia sintesi e connessione di vari aspetti, spesso anche paradossalmente o apparentemente contraddittori. Si tratta perciò di dare maggiore o minore risalto a un aspetto o a un altro, secondo le circostanze e la situazione. In tutte le grandi religioni c’è un versante dell’interiorizzazione e uno dell’espansione attiva, altruistica, comunicativa.

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Si potrebbero dire chissà quante cose sulla politica e sulla spiritualità di molti Papi e in particolare sul rapporto fra l’una e l’altra. Sembra però che papa Bergoglio riesca a suscitare più interrogativi e contrasti del solito. Già questo è un chiaro segno che la sua originalità innovativa e la particolarità del suo carisma hanno messo in discussione quella certa pigra routine che tende a prevalere nell’idea che “si vuole avere” di un Papa. Ciò che in lui è sia uno stile che un programma ha quindi già raggiunto in gran parte il suo scopo: scuotere e risvegliare le coscienze imponendo di pensare e vivere il cristianesimo in più diretto, concreto e dinamico rapporto con la realtà presente. Una religione non è e non può essere soltanto richiamo al passato, alla tradizione, a un patrimonio dottrinale. Si tratta infatti di essere cristiani ora, nel presente della propria unica e personale vita. Non c’è religione che non sia sintesi e connessione di vari aspetti, spesso anche paradossalmente o apparentemente contraddittori. Si tratta perciò di dare maggiore o minore risalto a un aspetto o a un altro, secondo le circostanze e la situazione. In tutte le grandi religioni c’è un versante dell’interiorizzazione e uno dell’espansione attiva, altruistica, comunicativa.

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C’è una filosofia e c’è un’ispirazione immediata. C’è l’autocontrollo e c’è la compassione. Questi due aspetti sono stati straordinariamente evidenti nella successione fra Ratzinger e Bergoglio, che nella loro lampante diversità hanno voluto tuttavia manifestare fin dall’inizio la loro sintonia per contrasto e la loro complementarità. Le clamorose, perfino scandalose dimissioni di Ratzinger hanno voluto significare che un Papa ha riconosciuto di non possedere in misura sufficiente, per ragioni di temperamento, di cultura e di età, le qualità personali di estroversione comunicativa più necessarie a fronteggiare i problemi del presente nei rapporti fra la Chiesa e la condizione sociale e morale del mondo. Un problema fra i più gravi era il fatto che il cristianesimo, rispetto per esempio all’islam, all’induismo e al buddismo, è la religione dei paesi più economicamente sviluppati, più ricchi, potenti e autoprotetti del mondo. Il cristianesimo, cioè, convive con la liberal-democrazia e con l’economia capitalistica: con le libertà laiche, con la potenza organizzativa, con il mito della sicurezza e del benessere, del progresso-sviluppo attraverso l’incremento continuo della produzione e del consumo. Tenere vivo, risvegliare lo spirito del cristianesimo, del voler essere cristiani, esigeva perciò che si accentuasse di nuovo, proprio nel cuore dell’occidente sviluppato, il momento della “conversione”, del comportamento e della vita cristiana, più difficili lì dove benessere e sicurezza, diritti e consumi sono la forza sociale e culturale dominante, sono la “dogmatica” più diffusa. L’idea più originale e attuale di Walter Benjamin, secondo cui il capitalismo è una religione, significa soprattutto una cosa: che il modo di vivere nel capitalismo, che l’antropologia capitalistica sono un ostacolo quasi insormontabile alla pratica di qualunque religione. Essere cristiani oggi in occidente significa perciò non “sentirsi” ipso facto cristiani, quanto piuttosto “convertirsi” di nuovo al cristianesimo.

 

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Al di là della politica o non politica di Bergoglio, tutta la sua più incisiva capacità comunicativa ha voluto comunicare anzitutto questo. Impresa certo straordinaria, ma senza affrontare la quale la cosiddetta fede cristiana rischia l’ipocrisia e la vuota ritualità. Ho letto con attenzione l’ottimo, competentissimo articolo di Matteo Matzuzzi e l’ulteriore chiosa di Sergio Belardinelli usciti il 16 e 17 settembre, che commentavano entrambi un impegnativo saggio di padre Antonio Spadaro sul penultimo numero della Civiltà Cattolica. Le riflessioni che aggiungo, nella loro ovvietà, cercano di integrare quegli articoli, ma più precisamente correggere l’impressione data dai loro titoli redazionali, che trasmettono più valutazioni negative che apprezzamento o comprensione per il pontificato di Bergoglio. Ecco i titoli: “Il tramonto di un papato” (per quello di Matzuzzi) e “Lo slancio profetico di questo Papa è debole, troppo politico e poco escatologico” (per quello di Belardinelli). Ma ho ricordato anche un articolo che Ernesto Galli della Loggia pubblicò un paio di mesi fa sul Corriere, in cui si accusava Bergoglio di fare più ideologia che politica, due termini che ritengo impropri e fuorvianti trattandosi di un Papa e di cristianesimo. Una religione come il cristianesimo non è precisamente una “ideologia” (anche se così può essere colpevolmente usata) e l’azione che ispira non è precisamente o esclusivamente “politica”. L’uso politico di una religione è una distorsione irreligiosa. La nostra cultura moderna è ormai così estranea alla religiosità che spesso la fraintende nello stesso linguaggio con cui ne parla.

 

Sbaglia chi crede che Bergoglio sia, rispetto ai tre Papi precedenti, “più moderno” in quanto meno fedele alla tradizione cristiana. Senza dubbio Bergoglio ha una cultura anche più largamente moderna di ogni Papa precedente: che però gli è servita per attualizzare meglio, per “incarnare” e “presentificare” più efficacemente il messaggio evangelico. E lo ha fatto guardando a due suoi interpreti come san Francesco e sant’Ignazio. Diciamo (senza banalizzare) che Bergoglio ha mostrato una “creatività” religiosa che al cristianesimo oggi è assolutamente necessaria. Per uscire dal ritualismo e dal teologismo, per risvegliare il conflitto critico fra cristianesimo e modernità autodistruttiva, credo che le sue intuizioni militanti e culturali a favore degli “ultimi” e per la difesa della natura terrestre siano quanto di meglio un Papa potesse fare. Affrettarsi a dichiarare il tramonto o il declino del suo pontificato è un errore. I suoi effetti positivi li ha già comunque avuti e credo che non cesserà di averli anche in futuro. Poco cristiani mi sembrano piuttosto i nemici di Bergoglio. Ne ho sentiti parlare alcuni in tv e mi sembrano, umanamente parlando, degli indemoniati. Pregate per il Papa, voi che pregate. Ve lo ha chiesto.

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