(foto LaPresse)

Evitare i pregiudizi sul processo di Reggio Calabria sulla trattativa

Massimo Bordin

Il procedimento è ripreso dopo la pausa estiva e il numero di udienze e di testimoni sentiti consente un primo parziale bilancio

Evitare i pregiudizi, anche quelli in qualche misura fondati, e descrivere la realtà per com’è e non per come si vorrebbe che fosse. Criteri ultra generali per un cronista che, quando li avrà seguiti, avrà comunque fatto meno della metà del suo dovere. Può forse essere utile applicare quei criteri al processo in corso a Reggio Calabria come propaggine del processo di Palermo sulla cosiddetta trattativa. Il processo è ripreso dopo la pausa estiva e il numero di udienze e di testimoni sentiti consente un primo parziale bilancio. Qui se ne è già parlato più volte. E’ un processo nato male, da una serie di colloqui investigativi nelle carceri condotti in modo non irreprensibile da un sostituto della direzione nazionale antimafia e dal pentimento di due condannati per un delitto al quale, sollecitati, hanno cambiato movente, ottenendo lo status di collaboratori. Però, alla luce della istruttoria dibattimentale, la procura qualche verifica l’ha trovata. Testimonianze sui rapporti fra elementi della ’Ndrangheta e il gruppo mafioso dei Graviano paiono circostanziate, così come quelle che parlano di riunioni della mafia calabrese per discutere la proposta, degli allora più potenti siciliani, di estendere gli attentati del 1993 anche alla Calabria. Non è detto fra l’altro che l’ipotesi accusatoria, per come si sta svolgendo il processo in aula, rafforzi la tesi del processo di Palermo e su questo punto converrà tornare. Va segnalato infine che, almeno finora, la conduzione da parte dell’accusa pare molto più sobria, e anche più acuta, di quella sperimentata nell’aula bunker di Palermo.

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