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Altro che “partito liquido”, al Pd serve un congresso vero

Massimo Bordin

Dalla fallimentare proposta “Tutti da Calenda il sabato sera” sono comunque saltate fuori alcune considerazioni interessanti

La proposta “Tutti da Calenda il sabato sera” viene archiviata come un disastroso insuccesso. L’idea della cena aveva in effetti innegabili evocazioni negative e tutte sono state squadernate, da “mangino brioches” a “stanno sempre a magnà”. Un ottimista di buone letture avrebbe potuto contrapporsi citando l’atto unico di Jean-Claude Brinsville "La cena" dove Talleyrand invita a cena Fouché e i due elaborano una strategia per sopravvivere al crollo di Napoleone, ma alla mancata cena romana al massimo ci sarebbe stato Minniti. Eppure qualcosa di interessante alcune, poche, reazioni pur negative l’hanno proposto. A cominciare da Emanuele Macaluso, ma anche il giovane Peppe Provenzano intervistato dal Manifesto, che notano come il tanto invocato congresso piuttosto che le riunioni ristrette, più o meno imbandite, non risolverebbe nulla perché la liturgia statutaria del Pd consentirebbe solo un esito plebiscitario o contraddittorio. Visto che il congresso si svolgerebbe in due parti (primarie+assemblea congressuale) sarebbe in teoria possibile conseguire alla fine entrambi gli esiti. Altro che “partito liquido”, ci vuole un congresso vero, sostiene Macaluso. Il problema è che per farlo bisognerebbe modificare lo statuto del Pd nel suo punto forse più qualificante. Non è detto che Macaluso abbia torto ma è evidente che una scelta del genere cambierebbe la natura del partito, al quale coerentemente Macaluso non si è mai iscritto, fondato da Veltroni al Lingotto. Se deve essere così meglio evitare di arrivarci troppo tardi.

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