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L'inconciliabilità fra la situazione carceraria e l’articolo 27 della Costituzione

Massimo Bordin
La lettera del presidente della Repubblica Sergio Mattarella sulla inconciliabilità fra l’attuale situazione carceraria e l’articolo 27 della Costituzione, oltre a piazzarsi nel solco dell'unico messaggio alle camere del suo predecessore, offre una serie di spunti tutti utili a contestare alla radice una serie di misure varate con logica emergenziale.
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La lettera del presidente della Repubblica Sergio Mattarella sulla inconciliabilità fra l’attuale situazione carceraria e l’articolo 27 della Costituzione, oltre a piazzarsi nel solco dell'unico messaggio alle camere del suo predecessore, offre una serie di spunti tutti utili a contestare alla radice una serie di misure varate con logica emergenziale, e perciò sottratte a un normale dibattito, in materia di legislazione penale e di regolamenti carcerari. Un elenco di questi temi, dalla carcerazione preventiva al 41 bis, era utilmente dettagliato ieri in un editoriale di Piero Sansonetti. C’è da aggiungere, in linea puramente teorica, una sola questione. La stridente contraddizione fra il dettato costituzionale in materia e la realtà dei fatti è indiscutibile e segnalata dagli ultimi due capi dello stato. La pretesa, teorizzata da alcuni magistrati dell’accusa, di attivare l’azione penale sulla base di una interpretazione non del codice ma della carta costituzionale è molto discutibile eppure apertamente rivendicata. Ne consegue che il dottore Scarpinato, per citare il più acclamato teorico della discutibile scuola di pensiero, dovrebbe coerentemente autodenunciarsi per mancato esercizio dell'azione penale, costituzionalmente obbligatoria. E’ un paradosso, ma, come deve essere, non mi pare privo di una logica.
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