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Il forbito Scarpinato spazia dalla cultura greca a quella tedesca

Massimo Bordin
La rivelazione è alla fine del breve saggio, al quartultimo capoverso. Il lettore ci arriva dopo venti fitte pagine dell’ultimo numero di MicroMega. Lettura faticosa non per la profondità dei concetti quanto per la loro inaudita banalità.
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La rivelazione è alla fine del breve saggio, al quartultimo capoverso. Il lettore ci arriva dopo venti fitte pagine dell’ultimo numero di MicroMega. Lettura faticosa non per la profondità dei concetti quanto per la loro inaudita banalità. A cominciare dalla rappresentazione dell’animo di Palermo attraverso l’affresco del “Trionfo della morte”, passando attraverso “l’importanza della mimica facciale” e della “migliore parola che è quella che non si dice”. Senza risparmiare al povero lettore il contrasto fra “i volti proletari” degli assassini mafiosi e i “profili affilati” dei loro mandanti con i “colletti bianchi”. Ma alla fine arriva la ricompensa con la definizione del processo penale, che non consente solo di “pervenire alla condanna di singoli individui”. Già questa definizione è degna di nota, sottintendendo che un processo che dovesse pervenire a una assoluzione tradirebbe il suo scopo, ma non è questo il punto. Il processo, questa la rivelazione, svolge “la funzione di un rito di disvelamento collettivo di una verità rimossa perché perturbante, nel senso che Freud attribuiva a tale particolare concetto (das Unheimliche)”. E qui, con la citazione della parola chiave in lingua originale, potrebbe concludersi il saggio del procuratore generale Roberto Maria Scarpinato, che ama lo sfoggio di cultura, attraverso parole difficili, per esprimere il concetto a lui caro di “indicibilità”. Qualche anno fa, con un libro e una adeguata intervista di Travaglio, aveva lanciato la “parresia”, e sempre di “disvelamento” si trattava. Ora dal greco si passa al tedesco, ma da Foucault si retrocede a Freud.
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