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Pm a caccia di reati

Massimo Bordin
Se Antonio Di Pietro era il bulldozer, Piercamillo Davigo nel pool Mani pulite era il rifinitore, il giurista, “il dottor sottile”, insieme a Gherardo Colombo. L’irruenza dell’inquisitore molisano esigeva infatti il raddoppio della marcatura.
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Se Antonio Di Pietro era il bulldozer, Piercamillo Davigo nel pool Mani pulite era il rifinitore, il giurista, “il dottor sottile”, insieme a Gherardo Colombo. L’irruenza dell’inquisitore molisano esigeva infatti il raddoppio della marcatura. Dunque nelle interviste diciamo così di presentazione del nuovo presidente dell’Anm bisogna calcolare e pesare i termini usati. Sul Corriere della Sera di sabato una frase colpisce. Sulle intercettazioni: “Se i reati spuntassero nei prati come le margherite, il nostro lavoro sarebbe molto più semplice”. La parola chiave è “reati”. Avesse detto “prove” non ci sarebbe nulla da obiettare. Anzi, bella l’immagine del pm che si inoltra nel prato per cogliere facilmente le prove-margherite. Sarebbe bello e i tempi della giustizia ne avrebbero giovamento. Non è comunque così, d’accordo, fermo restando che l’accusatore deve comunque partire da un’ipotesi di reato e poi cercare le prove. L’ipotesi di reato è il prato, le prove sono le margherite. Altrimenti il prato diventa un’altra cosa, un ambiente, una comunità, un’istituzione nella quale il pm scruta alla ricerca di un’ipotesi di reato da formulare. Si chiama in gergo “controllo di legalità”. Si può obiettare che non è un compito da magistrati, se mai da poliziotti, da intelligence, e con le dovute cautele e garanzie se no si rischierebbe uno “stato di polizia” come quello di certi regimi militari. Ma è una obiezione che è meglio non fare al dottore Davigo. Potrebbe dire, come ha fatto due anni fa, che secondo lui chi aveva fatto l’obiettore alla leva non avrebbe dovuto poter accedere alla magistratura.
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