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Lo scandalo dei test in gravidanza che cercano le malattie genetiche e la catena di aborti sbagliati

Giulio Meotti

L'eugenetica dei falsi positivi. Quanti di loro sono stati privati del diritto alla vita? Bufera in America sui test prenatali che hanno rivoluzionato la medicina

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“Dopo un anno di trattamenti per la fertilità, Yael Geller era elettrizzata quando ha scoperto di essere incinta. Dopo un’ecografia, era  sicura da poter dire a suo figlio di tre anni che suo ‘fratello o sorella’ era nella sua pancia. Ma poche settimane dopo, l’ufficio del  medico la chiama. Un esame del sangue  ha indicato che al feto mancava un cromosoma e che avrebbe portato a gravi disturbi e malattie mentali. Il giorno dopo, i medici hanno usato un ago per recuperare un piccolo pezzo della  placenta. Il test del sangue era sbagliato. Ora ha un bambino di sei mesi, Emmanuel, che non mostra segni della condizione per cui era risultato positivo”. 

   
Si apre così una spaventosa inchiesta del New York Times. Geller era stata ingannata da una promessa che la tecnologia della Silicon Valley aveva fatto alle future mamme: una goccia di sangue, prelevata nel primo trimestre, avrebbe rilevato problemi di sviluppo  del feto. Oggi questi test Nipt (Not Invasive Prenatal test) sono usati da più di un terzo delle donne incinte in America.  

   
Il New York Times ha scoperto che dall’83 al 90 per cento dei risultati positivi per sei sindromi sono falsi. Un grande produttore di test, Natera, nel 2020 ha eseguito più di 400 mila screening, l’equivalente del dieci per cento delle donne in gravidanza in America. “L’analisi ha mostrato che i risultati positivi su quei test non sono corretti  l’85 per cento delle volte”. Tra le malattie, sindrome di DiGeorge, sindrome di Angelman, sindrome del Cri-du-Chat, sindrome di Wolf-Hirschhorn e di Prader-Willi.

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“Anche gli screening per la sindrome di Patau (la trisomia 13) e per la sindrome di Turner (monosomia X) generano un’ampia percentuale di falsi positivi” scrive il New York Times. Molti finiscono in un aborto senza ulteriori indagini mediche. Le aziende interpellate dal New York Times hanno rifiutato di commentare. Il motivo è chiaro. Tra il 2011 e il 2013, una piccola azienda biotecnologica con sede in California, Sequenom, ha triplicato le sue dimensioni. La chiave del suo successo? MaterniT21, un nuovo test di screening prenatale. Oggi, le stime degli analisti sulle dimensioni del mercato variano da 600 milioni al miliardo di dollari e si prevede che il numero di donne che effettueranno questi test raddoppierà entro il 2025. Natera, una delle principali aziende di questi test, vale  8,8 miliardi di dollari. 

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“Questa sarà l’ultima generazione di bambini con la sindrome di Down?”. Se lo chiedeva a ottobre il Telegraph. “A livello globale, la popolazione con la sindrome di Down sta precipitando e potremmo assisterne all’eliminazione”. O meglio, all’eliminazione di coloro che ne sono affetti. Da luglio, a tutte le donne incinte in Inghilterra è regolarmente offerto il test Nipt.  In paesi come la Danimarca, che ha introdotto il Nipt nel 2006, oltre il 95 per cento dei bambini Down è abortito quando risulta positivo, con solo da due a nove madri all’anno che scelgono di continuare  la gravidanza. In Islanda dal 2017 non nascono più bambini Down. Il primo paese al mondo “Down Free”.  Didier Sicard,  già presidente del comitato di Bioetica francese, ha scritto che con questi test “la nascita di un figlio con sindrome di Down sarà considerata un errore medico”. In Francia siamo  al 96 per cento di aborti, ma al deputato  Olivier Dussopt non basta: “Quando sento che ‘purtroppo’ il 96 per cento delle gravidanze con sindrome di Down finisce con l’aborto, la vera domanda che mi faccio è perché ne rimane il 4 per cento”.

   
Ma la vera domanda, leggendo il New York Times, è un’altra: quanti “falsi positivi” sono stati privati del diritto alla vita?
 

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