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“L’utero in affitto è colonialismo femminista sui corpi delle donne povere”

Giulio Meotti

Intervista alla sociologa e femminista Laura Corradi, autrice di “Nel ventre di un’altra”

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“Quasi tutti i paesi ricchi si stanno muovendo nella direzione della liberalizzazione delle leggi sulla maternità surrogata, mentre molti dei paesi più poveri gli stanno mettendo ostacoli”. L’Economist dedica un dossier a una pratica che sta diventando sempre più consenso in occidente. Il 15 febbraio è entrata in vigore a New York una nuova legge, il Child-Parent Security Act, che legalizza la commercializzazione della maternità surrogata. Tariffa minima  di un utero in affitto, 34 mila dollari. Il Michigan e la Louisiana restano così gli unici stati in America a proibire  la maternità surrogata dietro compenso. Gran Bretagna e Paesi Bassi stanno valutando la possibilità di introdurre “accordi pre-concepimento”. L'Irlanda dovrebbe approvare la maternità surrogata “altruistica” (sotto forma di “rimborso”). L’industria dell’utero in affitto, del valore di sei miliardi di dollari a livello globale nel 2018, dovrebbe raggiungere i 27,8 miliardi entro il 2025, secondo a Global Markets Insights, una società di ricerche di mercato. Ma l’aumento della domanda coincide con la decisione di molti paesi  poveri di chiudere. Cambogia, India, Messico, Nepal e Thailandia hanno vietato la maternità surrogata per i non residenti. 

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“Quasi tutti i paesi ricchi si stanno muovendo nella direzione della liberalizzazione delle leggi sulla maternità surrogata, mentre molti dei paesi più poveri gli stanno mettendo ostacoli”. L’Economist dedica un dossier a una pratica che sta diventando sempre più consenso in occidente. Il 15 febbraio è entrata in vigore a New York una nuova legge, il Child-Parent Security Act, che legalizza la commercializzazione della maternità surrogata. Tariffa minima  di un utero in affitto, 34 mila dollari. Il Michigan e la Louisiana restano così gli unici stati in America a proibire  la maternità surrogata dietro compenso. Gran Bretagna e Paesi Bassi stanno valutando la possibilità di introdurre “accordi pre-concepimento”. L'Irlanda dovrebbe approvare la maternità surrogata “altruistica” (sotto forma di “rimborso”). L’industria dell’utero in affitto, del valore di sei miliardi di dollari a livello globale nel 2018, dovrebbe raggiungere i 27,8 miliardi entro il 2025, secondo a Global Markets Insights, una società di ricerche di mercato. Ma l’aumento della domanda coincide con la decisione di molti paesi  poveri di chiudere. Cambogia, India, Messico, Nepal e Thailandia hanno vietato la maternità surrogata per i non residenti. 

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Le nascite surrogate sono diventate un’opzione popolarissima per i cinesi con la volontà e i mezzi per viaggiare all’estero e trovare madri surrogate. Ne parliamo con Laura Corradi, sociologa dell’Università della Calabria, femminista e autrice di molti libri sul tema, come “Nel ventre di un’altra” e “Odissea embrionale” (Castelvecchi e Mimesis). “La maternità surrogata, come altre tecnologie riproduttive, promette figli a chi non può averne. La sua ‘forza’ sta del desiderio di una discendenza consanguinea di almeno una persona nella coppia. Per questo le persone sono disposte a spendere decine di migliaia di euro, altrimenti adotterebbero. C’è da dire che la nostra legislazione non facilita questo percorso, cosi come la posizione del Vaticano sulle adozioni nelle famiglie arcobaleno”. Corradi accoglie con favore la decisione di molti paesi in via di sviluppo di bandire la surrogata per stranieri. “Molti paesi tra cui India e Thailandia hanno cambiato la loro legislazione per non diventare ‘paesi affitta-uteri’, ma altri ancora speculano sui bisogni economici di donne che accettano di diventare gestatrici a pagamento. L’industria dei bambini esiste e c’è il silenzio più totale sui problemi di salute che presentano in misure sproporzionata. Già alla nascita abbiamo birth defects (malformazioni) tre-quattro volte maggiori rispetto a bimbi concepiti naturalmente e un tasso allarmante di tumori cerebrali tra coloro che sono ‘nati in provetta’”. 


Il femminismo è confuso sul tema. “Le femministe purtroppo sono divise sull’uso delle tecnologie riproduttive, ma dovrebbero unirsi almeno sulle questioni relative alla salute delle donne e di chi deve nascere. E’ urgente decolonizzare questo femminismo che difende le prerogative delle donne bianche e della classe medio-alta che hanno i mezzi culturali per difendere i propri privilegi, senza tener conto del potere economico coercitivo rispetto alle scelte delle donne delle classi basse”. E' importante vedere la scienza come un bene comune, dice ancora Corradi. “C’è una tendenza negativa al post-umano che plaude ad ogni tentativo di ‘perfezionare la natura' da parte del grande business. Sarebbe utile riflettere sugli insegnamenti dei popoli nativi e aborigeni rispetto alla scienza. La ricerca del bimbo ‘perfetto’ ci riporta a progetti eugenetici di triste memoria e a un futuro che non vogliamo davvero”. 


Nei giorni scorsi c’è stato il caso dell’attrice cinese Zheng Shuang e del suo partner, il produttore televisivo Zhang Heng. Si erano rivolti alla surrogata negli Stati Uniti per avere un figlio, visto che è vietata quella commerciale in Cina. Si sono lasciati prima dei nove mesi e Zheng ha chiesto che la gravidanza (aspettavano due gemelli) fosse interrotta. Quando ha saputo che non era possibile, Shuang li ha abbandonati. In una registrazione arrivata ai media, Zheng esprime frustrazione per il fatto che i due bambini surrogati non potessero essere abortiti al terzo trimestre. “Dai via i bambini alla nascita e te ne dimenticherai”, dice Zheng al compagno. Per anni gli americani hanno cercato in Cina manodopera a basso costo, fino all’aperta collusione con i “campi di rieducazione” dove gli uiguri sono costretti al lavoro forzato su cotone, pomodori, pannelli solari e altri beni e prodotti. Ora le ricche coppie cinesi vanno negli Stati Uniti a comprare “servizi biologici” delle donne americane più povere.
 

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