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La pandemia chiamata eugenetica che spazza via “gli ultimi bambini Down”

Giulio Meotti

Così un paese europeo, iper welferizzato, accogliente e all’avanguardia sta praticamente eliminando un’intera classe di esseri umani affetti dalla più comune disabilità genetica. Una inchiesta-choc dell’Atlantic sulla Danimarca

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In copertina, una bambina bionda con la sindrome di Down, una mano sulla sua testa e il titolo: “The Last Children of Down Syndrome”. Uscirà a dicembre, ma l’Atlantic ha già pubblicato online l’inchiesta di Sarah Zhang. Il pubblico si è diviso. “Giustifica l’eugenetica, è orrendo”, l’accusa di molti. C’è invece chi ha elogiato un lavoro giornalistico, frutto di mesi di interviste e analisi, su come un paese europeo, iper welferizzato, accogliente e all’avanguardia sta praticamente eliminando un’intera classe di esseri umani affetti dalla più comune disabilità genetica. Siamo in Danimarca e si parla dei bambini con la trisomia 21.

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In copertina, una bambina bionda con la sindrome di Down, una mano sulla sua testa e il titolo: “The Last Children of Down Syndrome”. Uscirà a dicembre, ma l’Atlantic ha già pubblicato online l’inchiesta di Sarah Zhang. Il pubblico si è diviso. “Giustifica l’eugenetica, è orrendo”, l’accusa di molti. C’è invece chi ha elogiato un lavoro giornalistico, frutto di mesi di interviste e analisi, su come un paese europeo, iper welferizzato, accogliente e all’avanguardia sta praticamente eliminando un’intera classe di esseri umani affetti dalla più comune disabilità genetica. Siamo in Danimarca e si parla dei bambini con la trisomia 21.

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Zhang inizia la sua storia sul mensile fondato da  Ralph Waldo Emerson a Copenaghen, dove il test prenatale per la sindrome di Down è stato offerto a tutte le donne incinte dal 2004. Il risultato è la decimazione della prossima generazione di nati con sindrome di Down. Il Copenaghen Post ha riferito che la Danimarca “potrebbe essere un paese senza un solo cittadino con la sindrome di Down in un futuro non troppo lontano”. Zhang rileva che i bambini con sindrome di Down stanno ancora nascendo, ma in numero drasticamente ridotto e potrebbero scomparire presto. 

 

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Solo diciotto i bambini nati in un anno con sindrome di Down. E soltanto sette di questi perché i genitori lo volevano nonostante la diagnosi (per gli altri, non era stata fatta). Per stare nella giusta proporzione, se la stessa percentuale di nascite di bambini Down sperimentata negli Stati Uniti si verificasse in Danimarca, quel numero dovrebbe salire a 105 bambini. Il 95 per cento delle madri danesi termina la gravidanza a seguito del test prenatale per la sindrome di Down. Zhang solleva un paradosso: “La Danimarca non è ostile alla disabilità. Le persone con sindrome di Down hanno diritto all’assistenza sanitaria, all’istruzione e persino ai soldi per le scarpe speciali che si adattano ai loro piedi”. E ancora: “Nei paesi ricchi sembra essere contemporaneamente il momento migliore e quello peggiore per la sindrome di Down. Una migliore assistenza sanitaria ha più che raddoppiato l’aspettativa di vita. Un migliore accesso all’istruzione significa che la maggior parte dei bambini con sindrome di Down imparerà a leggere e scrivere. Poche persone parlano pubblicamente di voler ‘eliminare’ la sindrome di Down. Eppure, le scelte individuali si sommano per qualcosa di molto vicino a questo”.

 

Si apprende che gli stessi test genetici prenatali oggi usati in occidente hanno avuto origine a Copenaghen. Era il 1959 e una madre portatrice di emofilia perse un bambino. Quando rimase incinta di nuovo, voleva conoscere il sesso del figlio, perché le femmine non correvano rischi di contrarre l’emofilia: se fosse stato un altro maschio avrebbe abortito. Un medico, Fritz Fuchs, chiese a un citologo, Povl Riis, di analizzare le cellule fetali nel liquido amniotico. Fuchs inserì un ago nell’addome della donna e Riis studiò le cellule al microscopio. Era una femmina. Zhang riferisce che la Danimarca ha iniziato a offrire test prenatali per la sindrome di Down a madri di età superiore ai 35 anni negli anni Settanta con lo scopo esplicito di “risparmiare denaro, poiché il costo del test era inferiore a quello di istituzionalizzare un bambino con disabilità”. Si voleva “prevenire la nascita di bambini con disabilità grave e permanente”. Una politica apertamente eugenetica. Zhang parla con un ricercatore di fecondazione in vitro che ora ha  ripensamenti sul fatto che dovremmo ridurre le vite future al loro codice genetico. “Eugenetica di velluto”, così  la bioeticista Rosemarie Garland-Thomson descrive  la commercializzazione della riproduzione che consente la selezione contro la disabilità. 

 

“Le forze del progresso scientifico stanno ora marciando verso sempre più test per rilevare sempre più condizioni genetiche”, scrive Zhang. “I  progressi nella genetica provocano ansie su un futuro in cui si sceglie che tipo di bambino avere o meno. Ma quel futuro ipotetico è già qui. E’ qui da una generazione”. E’ il volto feroce della nostra “società inclusiva”.

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