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Il rischio ideologico del ddl Zan

Pietro De Marco

Grave condannare come irrazionali o primitivi i valori delle religioni. I divieti di origine culturale non possono essere “fobie” da reprimere

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L’inopportunità e i rischi del testo in discussione alla Camera (ma ora rinviato a settembre) sono stati reiteratamente esposti entro l’iter parlamentare e sulla stampa. Lo stesso Comitato permanente per i pareri della I Commissione della Camera ha espresso parere favorevole su quelle che propriamente sono le proposte di legge C. 107 ed abbinate, con molte cautele. Anzitutto relative al rispetto dell’art. 21 della Costituzione, e sotto condizioni: una esplicita protezione delle convinzioni (di espressione pubblica) diverse da quelle dell’ideologia LGTB, una migliore identificazione delle condotte discriminatorie che integrano illecito, la correzione di diverse incongruità concettuali, che si denunciano da tempo. Ad oggi quelle 18 pagine di preamboli, tutti opinabili, agli emendamenti al Codice penale proposti (semplifico) dall’onorevole Zan costituiscono una intimidazione nei confronti della libertà di espressione in materia di omotransfobie e si pongono come ostacolo al magistero delle tradizioni religiose. Tanto da apparire, in ultimo, più concepite contro di esse, come grandi agenzie formative, che ad effettiva tutela di qualcuno.

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L’inopportunità e i rischi del testo in discussione alla Camera (ma ora rinviato a settembre) sono stati reiteratamente esposti entro l’iter parlamentare e sulla stampa. Lo stesso Comitato permanente per i pareri della I Commissione della Camera ha espresso parere favorevole su quelle che propriamente sono le proposte di legge C. 107 ed abbinate, con molte cautele. Anzitutto relative al rispetto dell’art. 21 della Costituzione, e sotto condizioni: una esplicita protezione delle convinzioni (di espressione pubblica) diverse da quelle dell’ideologia LGTB, una migliore identificazione delle condotte discriminatorie che integrano illecito, la correzione di diverse incongruità concettuali, che si denunciano da tempo. Ad oggi quelle 18 pagine di preamboli, tutti opinabili, agli emendamenti al Codice penale proposti (semplifico) dall’onorevole Zan costituiscono una intimidazione nei confronti della libertà di espressione in materia di omotransfobie e si pongono come ostacolo al magistero delle tradizioni religiose. Tanto da apparire, in ultimo, più concepite contro di esse, come grandi agenzie formative, che ad effettiva tutela di qualcuno.

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Mi assicurava informalmente, tempo fa, un amico giurista e parlamentare che il ddl Zan, anzitutto, non includeva più, nelle aggravanti di 604-bis e 604-ter del CP, la fattispecie della “propaganda di idee fondate sulla superiorità o sull’odio” e circoscriveva tale estensione alle sole fattispecie di istigazione e compimento di atti discriminatori o violenti. In secondo luogo  il testo attuale evitava, nell’individuazione della fattispecie penale, il ricorso alle locuzioni “omofobia” e “transfobia”. Mi osservava anche che, se la sanzione va da sé quanto alle condotte attive (atti discriminatori o violenti), invece “quanto alle condotte immateriali (e cioè l’istigazione) che danno luogo a profili di contatto con la libertà di manifestazione del pensiero, non si possono dimenticare gli approdi della giurisprudenza (costituzionale, ma anche della giurisprudenza penale specificamente relativa alla legge Mancino) secondo i quali per poter configurare il delitto di istigazione non è sufficiente la manifestazione di qualunque opinione, ma solo di quella idonea a determinare un concreto pericolo rispetto alla commissione delle condotte istigate. Garanzie del genere offriva anche l’on. Alessandro Zan (Avvenire del 13 giugno scorso). Chiederei ad un penalista quanta latitudine abbia quel “idoneo a determinare”.

   

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Posto che il testo legislativo giunga, in forza di emendamenti estremi sostenuti dalla stessa maggioranza che promuove la legge, a una forma più rassicurante, restano le questioni di Weltanschauung. Lo argomenterò a mio modo. La legge è designata correntemente come anti-omofobica e conserverà tale profilo. La terminologia è sempre sottintesa nel testo ed esplicitata all’art. 6 ove si ufficializza una “giornata nazionale contro l’omofobia, la lesbofobia, la bifobia e la transfobia”. Subito va notato che i composti con la terminazione -fobia/-fobico danno un connotato psicopatologico all’atteggiamento di opposizione a ciò che è designato dal vocabolo qualificante: da claustrofobia a omo[sessualità]-fobia. Le definizioni tecniche di fobia, non quelle analogiche viziate di ideologia, assegnano il fobico alla categoria delle paure irrazionali durature e ne prevedono trattamenti terapeutici. Ma i comportamenti sessuali negativamente sanzionati nei millenni dalle tavole di valori delle culture mondiali non sono frutto di turbe psichiche, quanto di motivate interdizioni. La categoria dei divieti di origine culturale, ovvero delle tabuizzazioni, interni a sistemi stabili di norme costituiti in un superiore ordine di realtà e di senso (ciò che chiamiamo religione), non può essere rubricata come fobia se non “psicologizzandola” arbitrariamente.

   

Che una concezione moderna del “privato” e dei diritti individuali abbia condotto a derubricare quella classe di condotte (tipicamente l’omosessualità) dalle fattispecie delittuose, non permette di considerare fobiche le ragioni che le avevano sanzionate fino al giorno prima (in fondo l’affaire Oscar Wilde, condannato per sodomia, è di ieri: Inghilterra 1895). Se il legislatore, in molte parti del mondo, appare corrivo nell’accettare una connotazione fobica (ovvero irrazionale, “primitiva”) dei divieti culturali, e non si accorge della fallacia, questo è uno dei sintomi della “ipertrofia del soggetto” che ha colpito intelletto e costume occidentali. In questa ipertrofia, da tempo, un principio (un nomos) diviene una sindrome, i valori sono mie o tue predilezioni anzi “debolezze”, una retta autolimitazione è inibizione (patologica) e così via, di sciocchezza in sciocchezza. E su questo piano inclinato i giudici, cui dovremmo affidare la nostra libertà, non appaiono avere più freni del legislatore.

    

Più sicuro sarebbe introdurre, nell’art. 604-bis CP modificato, un chiarimento di questo genere: “Non è compreso nelle categorie di istigazione e atto discriminatorio omotransfobici quanto attiene al magistero dottrinale e formativo, nonché all’autonomia di giurisdizione, delle chiese e delle altre istituzioni religiose mondiali, e risulti contrario alle culture LGBT”. O un più generale: “In nessun caso integra illecito l’espressione di un pensiero contrario o diverso da quello di cui agli articoli 604-bis e 604-ter Codice penale”, come mi suggerisce un giurista. A condizione che, dietro la più tecnica “neutralità” della formula, sia visibile a tutti quanto vi è in gioco di sostanziale (costituzionale e molto più che costituzionale): sradicare dall’alto, per via politica, l’antropologia cristiana, colpendone il dato fondante, la coppia uomo-donna nella procreazione e formazione dell’uomo. Verso il nulla.

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Gli articoli di legge della proposta di legge Zan e altri sono non solo concettualmente indeterminati ma, ad aggravare e quasi strumentalizzare questa carenza, sono privi dei requisiti di una legge penale (ad esempio si confonde la finalità di discriminazione col reato). Stupisce, dopo un iter tanto lungo; ma ricordiamo che il testo della legge è in gran parte un prodotto ideologico. Una minoranza si costruisca pure una visione del mondo, ma non chieda che sia universalizzata per legge. Che si pensi, poi, di sradicare per il futuro ogni “discriminazione” imponendoci una teoria dei generi come opzione individuale (magari sperimentandola sui bambini), è progetto cui ci si deve opporre. Lo dico francamente. Solo un eccesso di atomismo antropologico (gli individui umani come fantocci desideranti a geometria variabile) può, nella tarda cultura (Spätkultur) occidentale, voler manipolare le nostre menti e i nostri corpi in questa direzione.

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