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Cosa resterà di Verona? Il microfono aperto del pannelliano Cruciani

<p>&ldquo;Il peggior modo per combattere un&rsquo;idea &egrave; proibirla&rdquo;. La gabbia politica del pol. corr. e l&rsquo;occasione persa (as usual) dal Pd</p>

Maurizio Crippa
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Che cosa resterà di buono di Verona? Del Congresso mondiale delle famiglie e dell’anti-congresso altrettanto vociante attorno? Soltanto Giuseppe Cruciani e il suo “microfono aperto”. Si è presentato su palco (“sorpresa, eh?”) e ha parlato meno di cinque minuti: “Io non sono uno di voi, non ho una famiglia tradizionale. Mi sono battuto per anni per cose che voi avversate: il matrimonio omosessuale, il divorzio e l’aborto (ma ormai è acqua passata) persino l’utero in affitto. Ma mi sento uno di voi oggi perché molti vorrebbero spegnere questo microfono da cui sto parlando”. Poi ha aggiunto: “Abbiamo assistito nelle settimane che hanno preceduto questo evento a una vera e propria campagna di criminalizzazione di quello che è un convegno, un incontro tra persone che parlano, tra persone che esprimono idee”. “Qualcuno ha persino compilato una lista degli alberghi in cui siete ospiti per boicottarli. Qualcuno ha detto che bisogna fare la lista dei traduttori, come fosse una lista di criminali che partecipa a un congresso di criminali”.

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Perciò eccolo lì. Cruciani, conduttore radiofonico della “Zanzara”, star mediatica di ogni dibattito che sia contraddittorio e contundente, perfino quando sconfina nel trash. Ha avuto una educazione sentimentale (e politica) radicale, nel senso dei Radicali di Marco Pannella, e una cosa delle “poche cose” che gli sono rimaste è questo insegnamento: “Se vuoi combattere un’idea la cosa peggiore che puoi fare è proibirla”. Ha centrato il punto. Con coraggio, perché nessun altro l’ha fatto, né sui giornali troppo preoccupati di non scontentare il “pensiero unico” (lo ha chiamato così) dominante, né in tv. Si è visto al massimo qualche opinionista che per bastiancontrarismo o per riposizionamento opportunistico si è schierato su posizioni che non non gli sono proprie. Cruciani non l’ha fatto, dopo i cinque minuti veronesi avrà ripreso a dire peste e corna delle famiglie tradizionali. Si è limitato a dire che “bisogna battersi sempre per la circolazione delle idee”. Cosa che invece il politicamente corretto impedisce, criminalizzando il pensiero altrui: “Ovunque vieteranno di esprimere il vostro pensiero, io sarò uno di voi”.

 

Il gesto di Cruciani non è importante perché faccia notizia (anzi, l’hanno passata piuttosto sotto silenzio) o per retorica volterriana, o per il brechtiano sedersi dalla parte del torto. Ma perché coglie un punto che riguarda, certo, il dibattito sui temi che un tempo di dicevano eticamente sensibili, ma anche altro: la possibilità di parlare, di esprimere una posizione, come essenziale fondamento della democrazia. Qualcosa che va difeso dalle intimidazioni dei guardiani del linguaggio politico. Qualcosa che viene ancora prima del semplice “dialogare” e anche della possibilità di argomentare per ottenere ragione (“Prova a convincere chiunque – ha scritto ieri Giuliano Ferrara – e vedrai la fine che farai”). Attorno a Verona è andato in scena un tentativo di negare la libertà di parola e di libera circolazione del pensiero. Senza che, dentro a quel congresso, fosse messa in atto alcuna “minaccia” né legislativa, né sociale, né tanto meno fisica ad alcuno. Abbiamo scritto, su questo giornale, critiche nette e senza mezze parole al Wfc e alla sua strumentalizzazione da parte di politici non particolarmente legittimati a essere lì. Ma non può essere taciuto che sia stata soprattutto la parte avversa a ingegnarsi per soffocarlo con parole avverse (di cui “la 194 non si tocca” è il refuso pavloviano più destituito di fondamento, ma non per questo meno illiberale). Dalla richiesta di non far partecipare esponenti del governo allo “sfigati” detto da un vice presidente del Consiglio a liberi cittadini radunati in convegno.

 

In tutto questo, l’errore più grande è venuto dal Pd, che ha perso un’occasione in cui avrebbe dovuto difendere il diritto di parola per tutti e invece s’è accodato, anzi messo a capo, di chi voleva zittire, lasciando libera uscita a una raffica di dichiarazioni degne del peggior antifascismo d’antan. A partire dal segretario Zingaretti: “Siamo con le donne che sono a Verona a combattere contro un tentativo di strumentalizzare la famiglia” (ma un social media editor, no eh?). O, per pescare a caso fra centinaia di bellurie da social, l’eurodeputata friulana Isabella De Monte contro il governatore friulano Fedriga: “Mi chiedo se inserirà anche lui il feto di gomma tra i gadget della Regione Friuli Venezia Giulia”. Battuta gratuita, che quasi riabilita la Cirinnà come un’artista del bon mot. E’ su questi temi che il Pd dimostra di essere un partito mai nato, per mancanza di pensiero: in tutte le sue correnti, e donne e uomini. Perde l’occasione democratica del confronto per non contraddire coloro che vedono minacce e tabù non appena si presenta una posizione differente. A Verona c’erano idee, persino contestabili. Ma idee. “Si può pensare che la famiglia sia solo quella naturale, si può essere contro l’aborto”, ha detto Cruciani, ed essere liberi di dirlo. “E si può combattere contro queste idee”. Non sono un ermeneuta di Marco Pannella, e non mi azzarderò a dire che sarebbe salito sul palco per dire le cose che ha detto Cruciani. Ma il “microfono aperto” di Cruciani era pannelliano

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