(foto Ansa)

bandiera bianca

Contro i ponti scolastici, che autorizzano i ragazzi a non fare niente

Antonio Gurrado

25 aprile, Natale, Pasqua, Carnevale e quant'altro: con tutti questi giorni di festa agli studenti non stiamo insegnando niente. Forse sarebbe meglio rivedere l'organizzazione dell'anno didattico

Cito. “L’anno scolastico deve essere intenso, breve, non frazionato da carnevali, pasquette, santi e santini, ponti di vario senso e invenzione, celebrazioni di date storiche che non dicono più niente al cittadino contemporaneo e che costituiscono solo occasione di rimandare a domani ciò che poteva essere fatto benissimo ieri”. Oggi – un altro giorno in cui non si va a scuola per celebrare una data storica eccetera eccetera – conviene rileggere questo pezzo che Giovanni Arpino consegnò a Il Tempo del 20 ottobre 1965 e far due conti sull’evenienza che la situazione, in oltre mezzo secolo, sia o meno migliorata. Settimana scorsa, niente scuola da prima del giovedì santo al martedì successivo. Un mesetto prima, un bel lunedì e un bel martedì persi nel nulla dai sei ai diciannove anni perché alcuni bambini andavano in giro in maschera. E prima ancora due settimane a Natale a spezzare asimmetricamente il primo quadrimestre, una celebrazione mariana nel bel mezzo della settimana, e un mesetto prima un’altra interruzione del quadrimestre per un’altra festa in cui alcuni bambini andavano in giro in maschera.

E fra un mesetto – per fortuna il primo maggio cade di domenica – aridagli con la festa repubblicana, poi magari ancora ponte venerdì 3, weekend il 4 e il 5, sui banchi il 6 e il 7, ultimo giorno di scuola l’8 giugno. Ha senso? Mica tanto. Sarebbe forse meglio compattare l’anno scolastico in tre intensi periodi – autunnale, invernale, primaverile – senza tutti questi ponti e ponticelli ma con tre lunghi periodi di pausa da dedicare al recupero di forze e conoscenze. Spiegando ai ragazzi che la Resistenza, il lavoro, la Repubblica, ma forse anche la Madonna e i Santi, si onorano meglio imparando qualcosa anziché stando a casa a poltrire.

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