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L’assoluzione di De Luca e le quattro verità che la legge Severino fa finta di non vedere

Rocco Todero
La sentenza in appello sul caso del presidente della Campania mostra alcuni punti autoevidenti che solo la deriva manettara, anti garantista e illiberale si ostina a non vedere.
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Con l’assoluzione in appello del governatore della Campania Vincenzo De Luca si confermano alcune verità, di per sé auto evidenti per gli operatori del diritto, che solo i promotori di una deriva manettara, anti garantista e illiberale si ostinano a non vedere.
 
 
Primo: ci sono reati in Italia come l’abuso d’ufficio i cui contorni sono così indefiniti da prestare il fianco alle più disparate interpretazioni. Dentro l’art. 323 del codice penale può starci tutto e niente, a seconda della sensibilità e della cultura del pubblico ministero prima e dell’orientamento del collegio giudicante dopo. Si veda anche alla voce “concorso esterno in associazione mafiosa” per avere una più compiuta idea dell’indeterminatezza della norma penale.
 
 
Secondo: l’accertamento della verità è un’impresa titanica sopratutto quando mancano prove evidenti e la struttura della fattispecie penale non è precisa e determinata a sufficienza. Accade spesso che l’appello ribalti il primo grado e che la Corte di Cassazione sparigli definitivamente le carte facendo retrocedere il processo ad uno stadio precedente e sconfessando precedenti certezze. Ci sono giudici, come nel caso De Luca, estensori di sentenze nelle quali sta scritto che un fatto ed una responsabilità sono state accertate “ogni oltre ragionevole dubbio” e colleghi del grado d’appello che invece hanno ritenuto che il medesimo fatto non sussista nemmeno e che quella stessa responsabilità non possa affermarsi in alcun modo.
 
 
Terzo: all’interno del sistema giudiziario italiano il contenuto delle norme si ricostruisce nel momento stesso in cui i Tribunali sono chiamati ad applicarle. La garanzia principale che l’ordinamento giuridico dovrebbe fornire ai cittadini, e cioè la consapevolezza di conoscere in anticipo le conseguenze giuridiche delle proprie azioni, è una pia illusione. L’incapacità del Parlamento di adottare una tecnica legislativa appropriata e l’assoluta libertà d’interpretazione che si attribuiscono i Tribunali rendono vana la speranza nella certezza del diritto, la quale, invece, dovrebbe rappresentare presidio imprenscindibile quantomeno dell’ordinamento penale. La conseguenza è che spesso numerose violazioni oltre ad essere non volute sono altrettanto di frequente inevitabili. E’ il ruolo della Corte di Cassazione, quale Giudice ultimo deputato a ricondurre ad unità le diverse interpretazioni dei giudici di merito, che conferma l’esistenza di una ricostruzione del significato delle norme che avviene in itinere, proprio nel momento in cui esse vengono applicate.
 
 
Quarto: qualsiasi limitazione della libertà personale ed ogni sorta di compressione dei diritti fondamentali non possono che ricollegarsi all’accertamento conclusivo di fatti e responsabilità, come previsto dall’art. 27 della Costituzione Repubblicana, là dove v’è scritto che l’imputato non è considerato colpevole sino alla condanna definitiva. 
 
 
Ciononostante, in un contesto così articolato s’inseriscono, come è noto, le previsioni della legge Severino sulla sospensione dall’esercizio delle funzioni politiche ed amministrative di chi è stato condannato in primo grado, previsioni che si fondano, invece, sulla presunzione della indiscussa correttezza e della stabilità della prima sentenza, sull’ipotesi dell’unicità della verità giudiziale lì affermata e su quella della inevitabilità della sospensione dalla carica come unica soluzione in grado di tutelare l’interesse pubblico. 
 
 
Cosicché una sentenza di condanna non ancora definitiva è in grado di compromettere alla radice diritti politici di rilievo costituzionale, svilisce la rappresentanza politica, altera il processo democratico e provoca effetti irreversibili non suscettibili di essere adeguatamente ripristinati.
 
 
[**Video_box_2**]L’assoluzione in appello di Vincenzo De Luca, ancora prima di conoscere l’esito definitivo dell’eventuale ricorso in Cassazione della Procura, evidenzia la totale inadeguatezza della legge Severino e ci rammenta che la scoperta della verità giudiziale è frutto di un lavorio intenso che quasi mai può ritenersi concluso con un giudizio di primo grado.
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