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Non siamo bolliti (Al Gore sì)

Redazione

Il riscaldamento globale non è drammatico. E si vince con la ricchezza

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Bjørn Lomborg, economista famoso per il suo atteggiamento intelligentemente scettico sull’ambientalismo, porta avanti da anni una battaglia che più volte questo giornale ha fatto sua. Lomborg non nega che sia in atto un innalzamento globale delle temperature, ma è anche convinto che addossare tutte le colpe alle attività umane e gridare al disastro imminente siano due atteggiamenti troppo poco realisti. Da poco Lomborg ha pubblicato uno studio semplice e intuitivo: ha messo su un grafico l’innalzamento delle temperature previsto dai modelli matematici dal 1975 al 2014 e lo ha confrontato con i dati misurati in questi anni. Sorpresa: nella migliore delle ipotesi gli esperti avevano previsto temperature del 60 per cento più alte di quelle effettivamente registrate (in alcuni casi la differenza è del 140 per cento).

 

Questo non significa, dice Lomborg, che il riscaldamento globale non possa essere un problema, ma che si può correggere senza farsi prendere dal panico. Gli slogan sulla necessità di “agire adesso” e le politiche di taglio delle emissioni servono a poco, scriveva Lomborg qualche giorno fa sul Wall Street Journal, spiegando che per aiutare i paesi poveri a evitare eventuali disastri naturali causati dai cambiamenti climatici sarebbe meglio dar loro gli strumenti per diventare ricchi, anziché tagliare la CO2 a casa nostra. C’è tempo, e non è detto che le cose peggiorino. Molti dati di realtà ci dicono che la corsa verso la bollitura del pianeta è molto più lenta di quel che pensavano Al Gore e compagnia. E ormai certe balle – come quella del 2014 anno più caldo della storia – non fanno in tempo a finire sui media che subito vengono smentite.

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