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Abdallah II, re in cravatta

Come il sovrano (musulmano) di Giordania è diventato l’altro baluardo nella lotta al terrorismo islamico. Commentatori palestinesi, come Riad Malki, già negli anni passati avevano parlato dell’“opzione giordana” come l’unica speranza per sconfiggere l’islam politico.

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Commentatori palestinesi, come Riad Malki, già negli anni passati avevano parlato dell’“opzione giordana” come l’unica speranza per sconfiggere l’islam politico. Chissà cosa direbbero oggi che Amman ha mosso aerei e fatwe contro lo Stato islamico (ieri, secondo alcune voci, in questi bombardamenti sarebbe rimasto ucciso l’ultimo ostaggio americano nelle mani dell’Isis, la cooperante 26enne Kayla Jean Mueller). Per dirla con Daniel Greenfield, analista di Islam radicale, “i paesi che combattono il terrorismo in maniera più spietata sono… i paesi musulmani”. Nei giornali e nelle televisioni si rimpalla lo slogan “l’Isis non è islam”. Lo dice anche Obama. E’ una lingua di legno che non decifra il Califfato risorto dopo cento anni, la sua predicazione dei kalashnikov. Ma se c’è qualcuno che può impugnare quella bandiera è il re giordano Abdallah, il capo del “regno traditore” che, con la sua bellissima moglie senza velo, sfida vivente al letteralismo coranico che vorrebbe le donne in gabbia, si è sempre distinto per una funzione di rottura nel mondo arabo-musulmano. E’ l’unico capo di stato islamico ad aver avuto il coraggio di chiedere ad Arafat vivente, in piena Intifada dei terroristi suicidi, di “darsi un’occhiata allo specchio per vedere” se stesse aiutando il suo popolo. Anche la sua discendenza non è casuale, visto che è il pronipote del penultimo custode della Mecca (Hussein al Hashemi, alleato di Lawrence di Arabia, è suo trisavolo), discendente di Maometto.

 

Su Israele, la dinastia giordana è stata rivoluzionaria. Il prozio di Abdallah, Feisal, da re dell’Iraq nel 1920, scrisse a Chaim Weizmann, futuro primo presidente di Israele: “Noi arabi, specie quelli colti, consideriamo con la più grande simpatia il movimento sionista”. Il bisnonno di Abdallah, di cui il re attuale porta il nome, fu ucciso da un sicario del Muftì di Gerusalemme perché stava per siglare con Golda Meir (andata ad Amman clandestinamente) una pace separata con Israele. Suo padre, re Hussein, stava per essere travolto da un’insurrezione palestinese nel 1970 e il risultato fu il “settembre nero” (10 mila uccisi in un solo colpo). Fu la prima, incomparabile violenza contro il terrorismo islamico. Abdallah sfida gli arabi a dismettere l’antisemitismo e iniziare la Riforma dell’islam. Per questo ha bandito Hamas (Khaled Meshaal venne espulso da Amman e riparò a Damasco). E non a caso la lettera dei “138 saggi dell’islam” di interlocuzione con Benedetto XVI fu diffusa dal principe Ghazi bin Talal, esponente della casa reale giordana.

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[**Video_box_2**]Assieme ad Abdallah c’è il generale egiziano Abdel Fattah al Sisi, in guerra anche lui con la politica del “takfir”, la scomunica dell’eretico, l’infedele. Due giorni fa, al Sisi, dopo l’ennesimo attentato, ha detto che l’Egitto è sotto attacco di Fratellanza musulmana, al Qaida, Isis e Hamas, mettendoli tutti assieme, senza distinguo o irenismi. Sisi ha poi inserito Hamas nella lista nera dei terroristi. Ironico, visto che l’Unione europea l’ha appena tolta dalla sua. Come ci spiega Ashraf Ramelah, direttore di Voice of the copts, “Sisi sta cercando di rivoluzionare l’islam. Se non lo uccidono prima”. In medio oriente oggi, sia teologicamente sia politicamente, c’è solo un binomio: Sisi o Isis, il re in cravatta o il califfo col turbante.

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