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Pagami bene

Dentro ogni discussione sulla parità, dentro ogni elogio della potenza femminile, con cifre e testimonianze di donne che ce l’hanno fatta o che ce la faranno compare, ancora irrisolta, la questione dei soldi. Le donne vengono pagate meno degli uomini, non negoziano, non si impuntano, lasciano perdere, hanno paura di disturbare.

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Dentro ogni discussione sulla parità, dentro ogni elogio della potenza femminile, con cifre e testimonianze di donne che ce l’hanno fatta o che ce la faranno (e la domanda detestabile sulla conciliazione carriera-famiglia, per creare almeno un po’ di senso di colpa e di emozione), compare, ancora irrisolta, la questione dei soldi. Le donne vengono pagate meno degli uomini, non negoziano, non si impuntano, lasciano perdere, hanno paura di disturbare. Non succede soltanto in Italia, visto che in tutti i manuali americani di superdonne ci sono storie epiche di contrattazioni di stipendio (Sheryl Sandberg trattò direttamente con Mark Zuckerberg, e per questo è diventata leader di un movimento di opinione basato sul farsi avanti e avere successo), ma per chi non ha attitudine o tempo per conquistare il mondo, solo non vorrebbe perdere denaro per eccessiva buona educazione, il New York Magazine ha raccolto una serie di testimonianze di professioniste che hanno deciso di non rinunciare a essere venali, per principio e per necessità.

 

La prima sconvolgente regola per non farsi sottopagare è che nemmeno al primo impiego bisogna accettare a occhi chiusi il compenso offerto, balbettando molti ringraziamenti perché comunque qualcuno ci ha preso in considerazione: bisogna chiedere di più, perché se si accetta di meno si passeranno i successivi tre anni a mangiare pizze surgelate e a lamentarsi, una volta scoperto che gli altri guadagnano meglio, e si diventerà anche antipatiche, quelle a cui non viene detto che si va tutti insieme a bere una birra venerdì sera. Regola numero due: usare un po’ di quell’intelligenza emotiva che viene attribuita soltanto alle donne per capire qual è il momento giusto per chiedere un aumento, quando i capi sono di buonumore, bendisposti. “Molto di quello che si può ottenere dipende da come chi decide si sente in quel momento. Mai chiedere qualcosa a qualcuno che non è felice”. Sapere che il capo sta per andare in vacanza, ad esempio, o che la moglie lo ha perdonato, può valere qualche migliaio di euro. Ecco perché i dirigenti sono così spesso di cattivo umore, afflitti da terribili mal di testa o in missione. La leggenda narra di un direttore amministrativo sempre chiuso a chiave nel suo ufficio, non ne usciva nemmeno per andare in bagno per il terrore di incontrare i dipendenti nel corridoio (si vociferava che si fosse fatto applicare un catetere): perché i migliori, più implacabili negoziatori sono gli uomini, capaci di appostamenti e di grandi bluff, senza mai sentirsi ridicoli. Ed ecco l’importanza della menzogna: per una buona causa, cioè uno stipendio decente, si può benissimo mentire.

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[**Video_box_2**]Si può dire che nel lavoro precedente si guadagnava di più, anche se non è vero (quasi nessuno fa i controlli incrociati), si può inventare un’abilità che non si possiede (e che poi si conquisterà), si può essere sfacciate insomma, e tessere le proprie lodi, perché Jane Austen è un buon modello per farsi corteggiare, forse, ma non per farsi valere. Non importa se quella è la carriera che si è sempre sognata, se si lavorerebbe anche gratis, e se le pizze surgelate sono meglio del caviale: chiedere di più vi renderà anche più interessanti, degne di rispetto, a patto che la richiesta non sia accompagnata dal lamento per le ingiustizie subite in passato, e quanto meritavate di più e quanto poco avete avuto, e l’affitto che è aumentato. Bisogna anche evitare di sfogare su internet le frustrazioni o insultare l’ex capo o i colleghi, e si deve proibire alla mamma di raccontare in giro quanto sono stati cattivi e taccagni con voi. L’unico argomento importante è: dammi quei soldi, me li sono meritati.

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