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Troppe bugie e poche scuse. Il capo della Rep. giapponese fa le valigie

Giulia Pompili

Alla fine il presidente del gruppo Asahi Shimbun, Tadakazu Kimura, lo zar del giornalismo liberal giapponese, è stato costretto a dimettersi. Gli scandali che hanno colpito il suo giornale negli ultimi mesi sono talmente terreni che a poco gli servirà alzare gli occhi al cielo.

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Alla fine il presidente del gruppo Asahi Shimbun, Tadakazu Kimura, lo zar del giornalismo liberal giapponese, è stato costretto a dimettersi. Lo ha annunciato con un post pubblicato sul sito intranet del colosso mediatico nipponico che dirige, un sistema che dovrebbe garantire la privacy delle comunicazioni interne, eppure la notizia è stata prontamente fatta arrivare ai giornali concorrenti, il Japan Times e lo Yomiuri Shimbun. Kimura ha tentato la carta poetica, titolando la comunicazione “Fugetsu doten”, un vecchio detto giapponese che significa più o meno che il cielo e la luna sono un’unica cosa, ma gli scandali che hanno colpito il suo giornale negli ultimi mesi sono talmente terreni che a poco gli servirà alzare gli occhi al cielo.

 

Per capire cosa sia successo nel mondo giornalistico giapponese e quale terremoto abbia provocato la caduta del quotidiano più progressista del Giappone bisogna fare una premessa. L’Asahi Shimbun, che significa letteralmente il giornale del sole del mattino, ha iniziato le pubblicazioni nel 1879 a Osaka. E’ uno dei giornali giapponesi più antichi e più letti, e quando diciamo più letti significa che ogni giorno leggono quelle colonne quasi 18 milioni di persone. In Giappone i giornali funzionano per molti motivi (una distribuzione incredibilmente efficace, un sistema di abbonamenti diversificato) ma ce n’è uno in particolare che spiega perché la gente ha chiesto la testa di Kimura. Secondo i periodici sondaggi effettuati dalle grandi compagnie editoriali, i giapponesi leggono il giornale perché è uno dei pochi mezzi di comunicazione di cui si fidano. “L’hanno detto alla tv” oppure “l’ho visto su internet” non funziona a Tokyo: è vero solo se è scritto sul giornale. E dunque se un giornale mente, falsifica una notizia, tradisce il rapporto di fiducia con il lettore, allora non può essere perdonato.

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Sin dall’arrivo di Shinzo Abe, e quindi dal ritorno dei conservatori al Kantei, il palazzo del governo di Tokyo, l’Asahi ha iniziato il suo lavoro d’opposizione comme il faut. Ha coperto l’incidente nucleare di Fukushima più di ogni altro quotidiano impiegando molte risorse e dedicando intere edizioni alla possibile catastrofe naturale. Ma si è lasciato prendere un po’ la mano, deragliando verso un giornalismo un po’ più alla occidentale, e sacrificando la verifica delle fonti e la precisione cronistica tipicamente nipponica. Il primo scandalo risale all’agosto scorso. L’Asahi aveva appena pubblicato una rettifica riguardante sedici articoli che risalivano agli anni Ottanta e Novanta, e che riguardavano il memoriale (“Watashi no Senso Hanzai”, ovvero “i miei crimini di guerra”) di un certo Seiji Yoshida,  un presunto pentito che dichiarava di essere stato coinvolto nel rapimento di centinaia di donne coreane sull’isola di Jeju ridotte poi a schiave del sesso per i soldati dell’Impero giapponese (le famose “comfort women”). Peccato che gli storici, poco tempo fa, abbiano definitivamente accertato l’inesistenza sia del personaggio sia dei rapimenti. E il tema non è da poco, perché condiziona sin dalla fine della Seconda guerra mondiale i rapporti diplomatici tra Giappone e Corea del sud. Il giornalista Akira Ikegami, noto columnist dell’Asahi, ha criticato il suo stesso giornale per aver riportato le dichiarazioni di un uomo che non esisteva, tradendo quindi una sciatteria nella verifica delle sue fonti nonostante più di venti anni fa uno storico avesse messo in dubbio l’esistenza stessa di Yoshida. Quando però il giornalista Ikegami ha chiesto le scuse pubbliche del suo giornale – non solo una semplice rettifica – si è visto cancellare la sua rubrica. Ma nell’epoca di Twitter niente può restare tra le mura di una redazione, e il caso di Ikegami e della sua rubrica cancellata in poco tempo era diventato l’unico argomento di conversazione tra i giornalisti giapponesi. L’Asahi quindi si è visto costretto a pubblicare lo stesso la rubrica, con tante scuse.

 

[**Video_box_2**]Il secondo scandalo risale all’11 settembre scorso. L’Asahi ha dovuto ritrattare un altro presunto scoop, pubblicato nel maggio scorso, che riguardava i dipendenti della centrale nucleare di Fukushima durante il maremoto dell’11 marzo 2011. Secondo l’Asahi, che tentava di dimostrare l’incompetenza della società Tepco nel gestire l’emergenza della centrale nucleare, almeno 650 impiegati avrebbero abbandonato i reattori incidentati e molto, molto pericolosi. Una decisione, quella dei dipendenti, contraria all’ordine dato dall’allora capo dell’impianto Masao Yoshida (morto nel 2013 di leucemia). La costruzione dello scoop era basata su alcuni stralci della testimonianza resa da Yoshida agli inquirenti che investigavano per conto del governo – una testimonianza che in teoria avrebbe dovuto restare segreta. Due giorni dopo la pubblicazione dello “scandalo” sulle colonne dell’Asahi, il giornale concorrente, il Sankei, ha pubblicato un altro articolo basandosi su tutta la testimonianza di Yoshida, non solo sulle parti selezionate ad hoc dall’Asahi, dimostrando che non c’era stato alcun dolo dei dipendenti nel disattendere l’ordine del capo, ma solo una totale confusione sugli ordini stessi. In pratica, l’Asahi aveva raggirato il problema per dimostrare quello che gli conveniva (ricorda qualcosa?). Dopo il botta e risposta tra i quotidiani rivali, il governo di Tokyo ha desecretato le testimonianze “in modo da evitare ulteriori scandali”. Smascherato, il giornale più liberal del Giappone ha scritto un lunghissimo editoriale per scusarsi, nell’ordine: con le vittime della guerra, con le vittime dell’incidente nucleare ma soprattutto con i dipendenti della Tepco – che, come è possibile immaginare, non gode più di molto favore tra i giapponesi. Il direttore è stato sostituito. Durante una conferenza stampa, a capo chino, Tadakazu Kimura aveva promesso che avrebbe riflettuto sull’eventualità di dimettersi per aver “minato così a lungo la fiducia dei lettori” e per “aver aspettato così a lungo con le scuse”. Da metà novembre sarà ufficialmente disoccupato.

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