Empoli, sabato 1 novembre. Andrea Pirlo calcia la punizione per il gol dell'1-0 della Juventus (foto LaPresse)

La prevedibile imprevedibilità di Pirlo

Sandro Bocchio

Tutti sapevano che finta avrebbe fatto Garrincha sulla fascia, eppure hanno sempre abboccato. Tutti conoscevano il modo in cui John McEnroe avrebbe servito e sarebbe sceso a rete, eppure sono sempre stati trafitti. Allo stesso modo tutti sanno come Andrea Pirlo modelli le traiettorie dei suoi calci da fermo.

I gesti dei grandi sanno essere riconoscibili e sorprendenti al tempo stesso. Riconoscibili perché fanno parte di un retroterra di conoscenze su cui vengono costruite fortune personali. Sorprendenti perché sono comunque ogni volta spiazzanti. Tutti sapevano che finta avrebbe fatto Garrincha sulla fascia, eppure hanno sempre abboccato. Tutti conoscevano il modo in cui John McEnroe avrebbe servito e sarebbe sceso a rete, eppure sono sempre stati trafitti. Tutti sapevano dove Marco Pantani avrebbe attaccato in salita, eppure si sono sempre piantati. Allo stesso modo tutti sanno come Andrea Pirlo modelli le traiettorie dei suoi calci da fermo, sia quando deve intercettare la deviazione di un compagno, sia quando punta direttamente la porta. Eppure ancora oggi, dopo una serie di campionati eccellenti avviata agli inizi del millennio, sempre ci si domanda come il pallone abbia potuto tracciare parabole dolcemente assassine, immediatamente dopo essere stato colpito dal piede destro del centrocampista. L'ultimo esempio sabato, a Empoli, con Davide Bassi a piazzare la barriera, a urlare ordini, a tentare il tuffo, a chinarsi in fondo alla rete per raccogliere quanto Pirlo vi aveva appena depositato. La prodezza numero ventisei in carriera, quella che lo pone a due sole punizioni di distanza da Sinisa Mihajlovic, autorità incontrastata in materia.

 

Un appuntamento cui lo juventino mancava da 205 giorni, giorno dell'ultimo gol, naturalmente su palla inattiva, come si ama dire da qualche tempo in qua. Una rete regalata in Europa League ad Antonio Conte, il tecnico che l'aveva voluto con forza quando il Milan si era sbarazzato con eccessiva fretta di un elemento ritenuto innanzitutto troppo costoso e, in seconda battuta, non più decisivo per le sorti rossonere. Un errore da matita blu perché Pirlo, ancora oggi a 35 anni e mezzo, non soltanto si ritrova a essere un punto di riferimento imprescindibile ma lo fa con la voglia di chi sia ancora agli inizi: uno che non molla mai, non perché innamorato del posto fisso ma perché sa di meritarlo, per capacità e non per diritto di sangue. Così ha vinto tre scudetti di fila nella Juventus, così la sta mantenendo agli stessi (altissimi) livelli della gestione Conte: 25 punti oggi come un anno fa, con la differenza di essere ora in testa e non più dietro a quella che era la irresistibile Roma di Rudi Garcia.

 

[**Video_box_2**]E l'aspetto buffo della situazione è ritrovare Pirlo al centro dell'architettura di gioco di Massimiliano Allegri, proprio il tecnico che non aveva alzato le barricate quando il Milan aveva deciso di non rinnovare il contratto del centrocampista. Tutti erano curiosi di osservare come i due avrebbero convissuto a tre anni da un divorzio traumatizzante. Chi si aspettava polemiche e dispetti, è andato però deluso. Pirlo e Allegri si sono comportati da uomini di mondo, come se nulla fosse letteralmente capitato. Ognuno nel proprio ruolo, consapevoli di essere indispensabili l'uno all'altro: il tecnico per gestire con successo una complicatissima eredità vincente (almeno in Italia) nel contesto di una squadra rimasta pressoché identica a se stessa, il centrocampista per dimostrare di non intendere come una sorta di fondo integrativo pensionistico il recente rinnovo del contratto, giunto poco prima di un'estate totalmente inaspettata. Perché l'addio di Conte – per Pirlo e i suoi compagni di club – è stato tutt'altro che tale: si sono salutati a luglio in bianconero per ritrovarsi poco dopo in azzurro, dove l'allenatore non vuole essere la foglia di fico di una nuova (e contestata) presidente federale ma intende continuare a vincere, come faceva alla Juventus. O, almeno, provarci. Un cambio di gestione che ha convinto il centrocampista a tornare frettolosamente indietro rispetto ai passi precedenti, quando aveva dichiarato che avrebbe chiuso con la Nazionale in Brasile. "Conte era l'unica persona cui non potevo dire di no", ha raccontato nella prima conferenza stampa di questa nuova parentesi personale. Un segno di gratitudine e, al tempo stesso, il desiderio di riconquistare quanto malamente perduto. Ovvero: quella dignità smarrita dall'Italia con le eliminazioni immediate negli ultimi due Mondiali disputati. A Pirlo bruciava maledettamente un congedo fallimentare come quello contro l'Uruguay a Natal: l'avvento di Conte è la (buona) scusa per riprendere un discorso interrotto e provare a scrivere un finale differente

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