PUBBLICITÁ

I nuovi forconi

La raccolta indifferenziata di Salvini, post leghista nero

Il segretario della Lega la domenica va persino ad Arcore in gran segreto perché evidentemente mima il grande capo, i gesti e i riti che furono potere vero, governo nazionale e amministrazione locale, ministeri romani e nativismo settentrionale, folclore e potenza, arte e codice del comando.

PUBBLICITÁ

La domenica va persino ad Arcore in gran segreto perché evidentemente mima il grande capo, i gesti e i riti che furono potere vero, governo nazionale e amministrazione locale, ministeri romani e nativismo settentrionale, folclore e potenza, arte e codice del comando. E dunque dopo aver incontrato il Cavaliere dice che “Berlusconi è il tappetino di Renzi”, come l’altro, il vecchio senatore, ringhiava “Berluscaz” prima di riabbracciarlo, perché, calandrino com’era, Bossi litigava con Berlusconi, e con sapienza, per poi sempre trovare “la quadra” e strappare qualcosa – molto – al suo amico Silvio.

 

E dunque Matteo Salvini assomiglia a Umberto Bossi, ma come quelle scimmiette che nel circo imitano il loro addestratore. E infatti dice di volere “i posti riservati sul tram per il milanesi”, invoca la “castrazione coatta” per gli stupratori, invita i negozianti del nord allo sciopero fiscale, ce l’ha con “i nègher che portano l’Ebola”, vuole chiudere le moschee, viene persino preso sul serio dal Corriere della Sera, giornalone sempre attento a ogni espettorazione del nord, anche quelle più sconclusionate. Ma Bossi era la secessione, mentre Salvini trasforma la destra della secessione in un’estrema anti islamica e anti immigrati, esce dal folclore dei corni celtici per sfiorare la tragedia della storia, e paradossalmente diventa quasi nazionalista tra le macerie della destra che fu. Così organizza la manifestazione di Milano, e ancora una volta urla “secessione seccessione”, e lo fa assieme ai neofasciti che urlano, in un incongruo concerto: “Prima gli italiani”. Ma senza costrutto e forse senza nemmeno un disegno che non sia la semplice raccolta delle acque reflue, degli estremismi dietro cui non s’agita una complessa sociologia economica del tumulto bensì CasaPound e il tifo da stadio, quel che resta della Lega senza gli imprenditori: ultras, canzoni da osteria, pensiero leggero e alito pesante (“senti che puzza / scappano anche i cani / stanno arrivando i napoletani”). E insomma, Salvini mette insieme in una strana melassa le parodistiche leghe meridionali con quelle venete e settentrionali, Calogero Sedara e il Commendator Zampetti, rimette le mani nella spazzatura della storia, e con i suoi capelli sempre arruffati, che non sono però la scapigliatura di Bossi, incarna la disperata e marginale mostrificazione di un movimento politico che pure aveva avuto la sua fierissima grandeur.

PUBBLICITÁ

 

PUBBLICITÁ

[**Video_box_2**]Circondato da forconi e neofascisti, Salvini ingaggia una gara del “famolo strano” con Beppe Grillo, tutto un grossolano rincorrersi a chi la spara più grossa, un concorso di bizzarrie, con il tribuno barbuto che ha dalla sua le profezie di Casaleggio, che dice “i clandestini vanno rispediti a casa”, “voglio la visita medica obbligatoria per ogni immigrato”; mentre lui, Salvini, attivissimo, gli contrappone i saluti romani, i pasticci con Marie Le Pen e la sua trasferta scozzese, nei giorni del refendum secessionista, quando i militanti della Lega furono indirizzati da una sfilza contraddittoria di inviti: prima ad Am-burgo, poi verso Stras-burgo, finché Salvini non si accorse, al terzo tentativo, che la capitale della Scozia si chiama Edim-burgo. Così oggi, nella Lega, c’è Maroni che governa la Lombardia, c’è Zaia che governa il Veneto, c’è Tosi che amministra Verona, e poi c’è Salvini, che va in visita dal dittatore paranoico Kim Jong-un, assieme ad Antonio Razzi, e tornato in Italia racconta ai giornali, felice: “La Corea del nord è come la Svizzera!”. E insomma, se Bossi era potere vero in canottiera, lui, che dice chissà perché d’essere comunista e indossa la felpa “viva Putin”, sembra invece l’ultimo stadio della Lega, l’ultimo spasmo violento di un mondo in tragicomica concorrenza con i rutti di Grillo.

Di più su questi argomenti:
PUBBLICITÁ