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C’è un “ammiraglio” a Teheran che insidia il potere di Suleimani

Tatiana Boutourline

L’alleanza di fatto con l’America in Iraq crea divisioni nella leadership iraniana. Le regole del “gioco senza santi”.

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Roma. A giugno, mentre Mosul cadeva nelle mani dello Stato islamico, un giornalista del New York Times ha chiesto a Hassan Rohani se l’Iran avrebbe considerato l’ipotesi di cooperare con gli Stati Uniti per fermare l’avanzata jihadista. “Dovremmo tutti, con le parole e con i fatti, affrontare i gruppi terroristici”, ha risposto il presidente iraniano, aprendo, di fatto, uno spiraglio. Così, anche quando la Guida Suprema, Ali Khamenei, è parsa ostile alla sortita di Rohani (“L’America vuole solo un Iraq asservito alla sua egemonia”, ha detto correggendo il tiro del suo presidente) e Washington negava che l’Iraq fosse uno degli argomenti trattati a Vienna a margine dei negoziati sul nucleare iraniano, le speculazioni non si sono fermate. La strana alleanza si è infine palesata nella cittadina di Amerli (Iraq nord-orientale) dove esercito iracheno, peshmerga curdi, miliziani sciiti e consiglieri militari iraniani hanno rotto l’assedio dello Stato islamico con l’aiuto di raid aerei americani.

 

Da tre mesi Teheran ripete di non essere coinvolta nei combattimenti contro lo Stato islamico, ma domenica un dispaccio Reuters ha fotografato così la presenza iraniana ad Amerli e nella vicina Suleiman Beg: militari che parlano farsi e affermano orgogliosi: “Stiamo liberando Suleiman Beg”; peshmerga curdi che raccontano di come gli iraniani li riforniscano di armi e addestrino i miliziani sciiti e i militari dell’esercito iracheno; un politico curdo che rivela l’esistenza di centri operativi congiunti. “C’è aiuto logistico, cooperazione”, spiega, per esempio, Mala Bakhtiar del Puk (Patriotic Union of Kurdistan). “Guidano i peshmerga che sparano con l’artiglieria. Non parlano curdo, hanno dei traduttori”.

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Non è la prima volta in cui il contributo iraniano viene segnalato. A giugno il comandante di al Quds, Qassem Suleimani, viene visto a nord di Baghdad mentre lo Stato islamico, dopo aver espugnato Tikrit e Mosul, avanza verso Baghdad. Alcune fonti hanno raccontato di unità iraniane schierate accanto a quelle irachene a difesa delle antiche moschee di Samarra, ma il ministro degli Esteri iraniano, Javad Zarif, ha sempre negato che Teheran avesse forze in campo in Iraq. “I nostri fratelli iracheni (…) sono in grado di difendere se stessi e l’Iraq e non hanno bisogno che lo faccia l’Iran”, ha ripetuto Zarif dieci giorni fa. Eppure, mentre anche Baghdad rifiuta di ammettere la portata dell’aiuto iraniano, da Teheran sono filtrate le prime ammissioni. Il ministro dell’Interno iraniano, Abdolreza Rahmani Fazli, ha detto di aver inviato delle truppe in Iraq su richiesta del governo regionale curdo. Fazli ha specificato che Teheran sta offrendo la sua assistenza attraverso “consultazioni e nell’organizzazione delle forze curde”, senza chiarire però quanti uomini abbiano varcato il confine. Secondo al Jazeera più di 1.500 soldati iraniani sono stati coinvolti in combattimenti per il controllo di Jalawla, una città a 120 chilometri da Baghdad e a cinque dal confine iraniano. Attivisti curdi hanno pubblicato foto che ritrarrebbero carri armati iraniani – appartenenti all’ottantunesima divisione corrazzata – muoversi in direzione di Jalawla. I mezzi iraniani sono vecchi e vulnerabili ai razzi rpg dello Stato islamico, ma i soldati sono ben addestrati e, secondo gli analisti militari, sono utili soprattutto come artiglieria mobile di supporto alla fanteria peshmerga.

 

L’alleanza “per interposta persona” tra Teheran e Washington ha spinto i commentatori a domandarsi se la temporanea intesa irachena sia il sintomo di una più ampia volontà di distensione verso Washington. Non è infatti passato inosservato il silenzio dell’ayatollah Khamenei che tuona come sempre nei confronti del Grande Satana americano, ma tace riguardo ai bombardamenti americani in Iraq.

Chi gestisce il dossier iracheno?

 

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Così come incuriosisce il ruolo che si va ritagliando per il segretario del Consiglio supremo per la sicurezza nazionale, Ali Shamkhani. Già ministro della Difesa di Mohammed Khatami e stimato consigliere militare di Khamenei, Shamkhani è stato il primo arabo-iraniano a ricoprire ruoli istituzionali prestigiosi. Tra i fondatori del corpo dei pasdaran, l’“ammiraglio”, come viene chiamato in Iran, ha avuto una carriera militare brillante ed è in rapporti cordiali sia con Khamenei sia con Rohani. Alla fine di agosto al Jazeera ha speculato sulla possibilità che Shamkhani avesse sfilato a Suleimani il dossier iracheno. Non è un mistero che nei sancta sanctorum del regime sia cresciuta in questi mesi una certa insofferenza riguardo alla miopia strategica di Suleimani. Il comandante di al Quds è stato il principale sponsor di Nouri al Maliki e a Teheran le eminenze grigie lamentano la sua intransigenza nel difendere una politica settaria che si è poi rivelata disastrosa. Che sia o no l’uomo che ha scippato il dossier iracheno a Suleimani, è a Shamkhani che sono state affidate alcune delle trattative più delicate degli ultimi mesi.

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[**Video_box_2**]E’ stato lui a tenere le fila del dialogo con il grande ayatollah Ali Sistani e sempre lui a mandare un messaggio di congratulazioni al premier designato Haider al Abadi prima ancora che Maliki annunciasse le sue dimissioni. Ma le tattiche iraniane sono sempre contraddittorie e proprio mentre Shamkhani sostituiva Suleimani in un’audizione presso il Consiglio degli esperti, Suleimani riappariva ieri su Twitter in foto e filmati che sembrano ritrarlo mentre festeggia la vittoria di Amerli.

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Più che un cambio paradigmatico, come è stato definito da Reuters, il nuovo corso iraniano che estende la charm offensive a Riad è un’ennesima prova della realpolitik iraniana. “Non ci sono santi in questo gioco”, ha detto al Wilson Center Dlawer Ala Aldeen, presidente del think tank curdo Middle East Research Institute. “Iran, Turchia, Arabia Saudita, paesi del Golfo e tutti coloro che hanno interessi nella regione sanno che lo Stato islamico è una minaccia esistenziale per tutti”.

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