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Quando andavo a letto con "Maria Giovanna"

Maurizio Stefanini

Così chiamavano l'Mg, l'arma che l'Italia si appresta a inviare ai curdi in Iraq. Ricordi di naja, per capire cosa stiamo inviando ai peshmerga.

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Maria Giovanna. La chiamavamo Maria Giovanna. Allora era popolare Maria Giovanna Elmi, e un selfie di naja metteva appunto due elmetti accanto all’Mg: la Maschinengewehr 42, variante Beretta del 1959, in breve Mg 42/59.  Una longilinea da 12 chili e 800 colpi al minuto, se vogliamo anche un po’ subdola. Fingeva di essere un fucile mitragliatore su bipiede, la bugiarda. Ma bastava fissarla a un treppiede da 2,4 chili e diventava una mitragliatrice, raddoppiando la gittata fino a un chilometro. Dopo la grande Guerra a Versailles, gli Alleati della Germania avevano autorizzato i soli fucili mitragliatori, vietando le mitragliatrici. E i tedeschi allora avevano dimostrato che quando vogliono anche loro possono eccellere in doti che lo stereotipo affibbia ai napoletani, inventando il fraudolento marchingegno.

 

L’Mg34 fu poi risistemata in modo da poter essere assemblata su più economiche parti prestampate, e divenne così l’Mg42. “Sega di Hitler” o “Sega di Fuoco” la chiamavano, per i 1.500 colpi al minuto che raggiungeva.  Anche troppo. Mentre raccoglievo il materiale per la mia tesi di laurea, un ex-partigiano mi raccontò di quando una raffica aveva falciato il commilitone alla sua destra e quello alla sua sinistra. Lui ne uscì indenne. Solo dopo la guerra aveva saputo che per risparmiare pallottole spesso nei nastri delle Mg si metteva un colpo a vuoto ogni quattro: esattamente quello che lo avrebbe potuto centrare in pieno. Sfuggita alla generale demonizzazione di ciò che era stato associato al nazismo, passo in dotazione agli eserciti della Nato, per difendere la democrazia. Ma le modifiche successive cui fu sottoposta l’arma puntarono a ridurre la sua cadenza. Avvenne anche per la variante italiana del 1959, quella che stiamo per dare ai peshmerga curdi dell’Iraq per combattere contro lo Stato islamico.

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In base alle notizie diffuse dal ministero della Difesa, buona parte della fornitura sarebbe costituita da 30 mila kalashnikov, lanciamissili e munizioni sequestrate nel 1994, durante la guerra della ex-Jugoslavia, a una nave da trasporto partita dall’Ucraina e diretta a Spalato. Ma ci sarebbero anche armi non letali, come Browning e Mg. Quasi tutti i giornali li hanno definiti vecchi fondi di magazzino di cui le nostre Forze Armate si vorrebbero liberare. Sul vecchi, non c’è dubbio: anche l’americana Browing M2, classe 1933, è “reduce” della  la Seconda Guerra Mondiale. Epperò è longeva proprio perché efficace, e entrambe sono ancora in uso sui mezzi del nostro esercito. Solo come arma portabile di squadra, l’Mg è stata rimpiazzata dalla belga Fn-Minimi: più che altro, per problemi di munizionamento standard.

 

Anche la Browning mi è capitato di usarla, durante il corso di allievi ufficiali di complemento di Cesano. Una furtiva avventura notturna, poco soddisfacente, per l’impennata da rinculo che riuscii a bilanciare solo quando la manciata di traccianti assegnata era ormai esaurita. Con Maria Giovanna, invece, ci andai anche a dormire. Durante un’esercitazione mi fu ordinato di trasportarne una durante la pattuglia: cinque giorni di addestramento alla guerriglia nei boschi, e cinque notti a dormire in terra, abbracciati all’arma in dotazione. Quando fermammo un’auto sulla strada in cui si doveva simulare un’imboscata, un ragazzino a bordo gridò a suo padre: “Papà, giocano alla guerra sul serio!”. Adesso, purtroppo, non si gioca più. Peshmerga che forse avrai la mia compagna di sonni estivi di tanti anni fa, auguri!

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