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Nazareno über alles

L’inutilità dei dissidenti sul Senato e sull’Italicum

Redazione

Palazzo Madama e sistema di voto? Le modifiche sì, ma le fanno Renzi e il Cav.

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A rilento, passo dopo passo, si sta per chiudere l’ormai insopportabile tormentone della riforma del Senato e del Titolo V della Carta costituzionale. Ognuno fa quel che può per  mettere la parola fine a una vicenda che ha stancato un po’ tutti. Napolitano ci sta mettendo del suo, con appelli pubblici e con la moral suasion. Berlusconi le sta inventando tutte. Ora minaccia, ora blandisce. E comunque un po’ di dissidenza, certo limitatissima, gli serve a contenere l’offensiva di Fitto dentro Forza Italia. Renzi, come al solito, usa sarcasmo e ironia nei confronti dei dissidenti. Tocca poi al povero Zanda cercare di ammorbidire i toni del presidente del Consiglio, il quale, a dire il vero, non si preoccupa troppo dei suoi frondisti. E’ convinto che, al massimo, saranno sette, otto. Quindi tira dritto. Più timoroso, Zanda, anche perché con i senatori deve avere a che farci tutti i giorni, essendo il loro capogruppo: tenta di mediare, tra le spigolosità dell’uno e degli altri. Ma il metodo più efficace per convincere i senatori renitenti a “fare il loro dovere” è quello di Calderoli. Lui non va molto per il sottile. Non minaccia, non blandisce, ma non fa neanche mostra di dare per scontato che, alla fine, l’Aula di Palazzo Madama approverà il disegno di legge costituzionale. Perciò ai senatori leghisti, ma non solo a loro, Calderoli fa questo discorsetto: “Se non votate la riforma del Senato e del Titolo V, Renzi vi manda a votare, dovreste aver ormai capito come è fatto. E se si va a votare ora, anche mantenendo il Senato, quanti di voi torneranno mai qui dentro?”. Dicono che in questo modo l’esponente del Carroccio abbia convinto più di un senatore a lasciare il fronte dei dissidenti.

 

Intanto, nel Partito democratico, tutti, civatiani inclusi, hanno capito che quella del Senato è una battaglia persa. E sperano di rifarsi quando arriverà il momento di affrontare la questione dell’Italicum. Non sarà così. O meglio. Otterranno soddisfazione perché la riforma elettorale uscita dal patto del Nazareno verrà senz’altro modificata. Ma non avverrà grazie a loro. La stanno già cambiando gli stessi contraenti di quel patto.

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Sono in molti, dentro il Pd, a chiedersi che fine farà Graziano Delrio. Verrà candidato per la successione a Vasco Errani, come presidente della Giunta regionale dell’Emilia Romagna? Questo equivarrebbe a un siluramento. Oppure a novembre, nel caso di un rimpasto, prenderà il posto di Alfano al ministero dell’Interno, mentre l’attuale titolare andrà alla Farnesina, lasciata libera da Federica Mogherini? Questo sarebbe un caso di “promoveatur ut amoveatur”. Delrio verrebbe allontanato da Palazzo Chigi (le cronache politiche raccontano che i rapporti con Renzi si siano alquanto raffreddati e che vi siano stati degli screzi recentemente), ma andrebbe ad assumere un ruolo importante nel governo. C’è però anche chi sostiene che non avverrà niente di tutto ciò e che il sottosegretario alla presidenza del Consiglio resterà al suo posto: è uno dei più bravi, nella struttura renziana, a maneggiare alcune materie e a scrivere le leggi.

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