PUBBLICITÁ

Giustizia, le catene da spezzare

Redazione

La responsabilità civile non è un tabù. Intercettazioni e custodia cautelare? Una riforma serve davvero.  E su Cantone… Chiacchierata col ministro Orlando e il vice presidente del Csm sulla giustizia ingiusta.

PUBBLICITÁ

Pubblichiamo un estratto della conversazione avvenuta giovedì scorso al Palazzo delle Esposizioni di Roma, in occasione della presentazione del libro di Claudio Cerasa “Le catene della sinistra” (Rizzoli), tra il ministro della Giustizia, Andrea Orlando, il vice presidente del Csm, Michele Vietti, e Giuseppe Sottile del Foglio.

Sottile: Partiamo da un dato di fatto e partiamo dai titoli dei giornali di questi giorni dove senza filigrana ci sono tutti i mali della giustizia. Quei mali partoriti dopo vent’anni di equivoci e soprattutto di una malsana alleanza tra la sinistra e il potere giudiziario. Una malsana alleanza che di fatto ha rappresentato un’altra catena non solo per la sinistra ma anche per il paese. Perché questa alleanza malsana ha impedito qualsiasi riforma non solo della giustizia ma anche di altri strumenti che avrebbero dovuto garantire un diritto inalienabile a ciascun cittadino. Dire che oggi la giustizia è praticamente una grande rovina potrebbe sembrare scontato, ma scontato non lo è. Basta pensare alla giustizia civile e basta soprattutto considerare certi aspetti della giustizia penale. Per non parlare della così detta giustizia amministrativa. Dico un paradosso: probabilmente più che abolire il Senato bisognerebbe abolire il Tar del Lazio perché questo strumento di giustizia amministrativa, che un mio collega non senza ironia chiama la “magistratura gialla”, è diventato un’istanza al di sopra dei governi e dei Parlamenti: perché chiunque voglia riformare o fermare una legge legittima dello stato e del Parlamento basta che si rivolga al tar del Lazio, dove abbiamo il classico esempio che l’eccesso di giustizia altro non porta che a una mala giustizia. Fatte queste considerazioni comincio a porre qualche domanda. Può un paese dirsi democratico se a un cittadino viene negata la possibilità di avere una giustizia giusta in una vertenza o in una controversia? Può un paese dirsi democratico nel momento in cui c’è sempre il sospetto che questa giustizia venga amministrata in nome e per conto di una forza politica o di un regime politico? Non credo. E poi, altra domanda. Possiamo mai sperare in una crescita di questo paese se lo strumento fondamentale della convivenza civile fa acqua da tutte le parti? Con quale coraggio possiamo chiedere a un investitore straniero di venire in Italia e investire i suoi soldi se la giustizia somiglia a una roulette russa? Comincio con un esempio recente. Ci siamo tutti fermati e indignati perché di colpo è stato indagato il numero due della finanza. Tutti facciamo la banalissima considerazione che da tangentopoli a oggi, dopo vent’anni, l’unica cosa che si vede non è stata la soluzione del problema della corruzione ma l’ingresso di quelli che avrebbero dovuto vigilare dentro il meccanismo delle tangenti. Perché ora ci sono magistrati, ci sono i finanzieri. Ma accanto all’indignazione per il numero due della finanza indagato cresce il terribile e atroce dubbio se questa indagine che riguarda il numero due della finanza non sia un’altra patacca? Come vedete uno dopo l’altro cadono miti che ci davano certezze. Un tempo c’era il mito della magistratura palermitana, e potrei citare Falcone e Borsellino. E oggi che cosa ci resta di quella magistratura eroica e straordinaria? Permettetemi di non darvi una risposta. Perché tutti voi leggete i giornali. E tutti voi sapete quali sono le vicende e le faide che riguardano la magistratura palermitana. Tutti abbiamo sperato e ci siamo aggrappati alla magistratura milanese. E oggi che cosa resta della magistratura milanese? Una guerra di potere…

 

PUBBLICITÁ

Vietti: Ora non esageriamo…

PUBBLICITÁ

 

Sottile: … una guerra di potere esplode quando la magistratura ha smesso di fare il proprio mestiere e si è dedicata in massima parte al potere. Da qui le guerre di potere: mi sembra per usare una parola dotta, una tautologia. Bene. Per vent’anni c’è stato un equilibrio malsano tra un potere politico debole e una magistratura troppo forte. Il potere politico è stato talmente debole da rasentare la sudditanza. E il potere della magistratura è stato talmente forte da avere avuto la capacità e l’abilità di imporre ogni veto e ogni interdizione a ogni tentativo di riforma. Sempre con la mascherina dell’indipendenza dell’attentato all’autonomia. Se tu vai a toccare lo stipendio del magistrato… ah, è un attacco all’autonomia della magistratura. Se tu introduci con un sereno dibattito parlamentare la responsabilità civile, ah, anche questo diventata un attentato all’autonomia della magistratura. Queste mascherine bisogna avere il coraggio di eliminarle. Altrimenti ricadremo nei falsi miti. Come il falso mito della obbligatorietà dell’azione penale, che è un’altra mascherina dietro la quale ciascuno nasconde la propria discrezionalità e i propri privilegi.

 

Cerasa: Renzi ha promesso entro giugno che ci sarà una grandissima e straordinaria riforma della giustizia e questa grandissima e straordinaria riforma della giustizia verrà portata in consiglio dei ministri – diamo una notizia – il prossimo 27 giugno, come ci ha confermato il ministro Orlando. Quanto al libro, ripercorrendo la storia della sinistra e il suo rapporto con la magistratura è evidente che negli ultimi trent’anni la sinistra ha costruito la sua identità culturale sovrapponendola a quella della magistratura, o almeno a un pezzo di essa. E questo essersi incatenata alla questione morale ha impedito alla sinistra di sviluppare una sua identità forte e le ha impedito di offrire al paese una riforma della giustizia ben fatta. Dal punto di vista culturale tutto nasce quando Enrico Berlinguer rilascia a Repubblica la famosa intervista sulla questione morale a Eugenio Scalfari, nel 1981, e quando quel tipo di atteggiamento della sinistra da elogio della questione morale diventa elogio del moralismo e poi si trasforma rapidamente in giustizialismo. Il giustizialismo della sinistra, anno dopo anno, non riforma dopo non riforma, ha allontanato la sinistra dal riformismo, ha ammanettato la sinistra alla cultura giustizialista, e la cultura giustizialista ha allontanato dalla sinistra la maggioranza del paese. Tutto ciò ha avuto un riflesso importante in alcune fasi cruciali del paese in cui si è tentato di realizzare una riforma con i fiocchi. Un caso su tutti: nel 1998, quando D’Alema, con la sua commissione Bicamerale, affidò a Marco Boato il capitolo sulla riforma della giustizia formalmente è stato Berlusconi a far saltare in aria la riforma; ma come racconta Boato nel libro in verità si era da tempo innescato un cortocircuito mediatico e giudiziario e politico che aveva affossato la riforma prima ancora che fosse Berlusconi a mettere un punto. Negli ultimi anni, poi, di fronte ai governi di centrodestra la sinistra si è sempre rifiutata di fare una vera riforma della giustizia con la scusa che fare una riforma sulla giustizia in quel momento avrebbe coinciso con il fare una riforma per Berlusconi. Domanda: quali sono oggi le catene che rendono complicato realizzare una buona riforma della giustizia?

 

PUBBLICITÁ

Orlando: Ho un giudizio diverso sulla magistratura rispetto alle parole di Sottile. E anche laddove si manifestano conflitti le istituzioni sono sempre fatte da uomini e non possiamo dare giudizi definitivi solo su alcuni passaggi della storia. Credo che non si renda merito per esempio all’attività della procura – che non è rappresentata soltanto da chi oggi la guida e l’ha guidata ma che ha una continuità nell’attività che prescinde dai personalismi – se si dice che l’eventuale conflittualità che si è venuta a creare cancella dei risultati che sono oggettivamente incancellabili dal punto di vista della lotta alla mafia. Fatta questa premessa non formale parto dal ragionamento di Cerasa, che ha scritto un libro che, rispetto ad alcuni capitoli, condivido in modo pressoché totale. Mi riferisco ai limiti della sinistra sul pensiero economico e al tema della sinistra subalterna ad altre forze extra politiche. I surrogati di identità sono stati spesso dei segnali relativi a un fenomeno preciso: la sinistra, a volte, ha rinunciato a crescere e ha pensato che altri soggetti fossero in grado di svolgere questa funzione di rappresentazione. Il punto di partenza, dunque, è una sinistra che ha rinunciato a una sua funzione sociale e si è legata ad alcuni specifici processi utilizzandoli come se fossero delle stampelle. C’è una subalternità culturale evidente che ha tolto alla sinistra capacità di rappresentanza e di autonomia rispetto ad altri poteri. E tra questi soggetti delegati c’è ovviamente anche la magistratura. Questo processo credo abbia fatto male alla sinistra e alla stessa magistratura. Ma la colpa delle non riforme non è solo del centrosinistra ma anche del centrodestra. Ricordo quando proprio sul Foglio, nel 2010, scrissi il mio appello per riformare la giustizia con il centrodestra. Quell’articolo cadde nel vuoto. Il centrodestra non ci rispose nulla. Questo perché secondo me ci sono delle economie di guerra. Fa comodo in alcuni casi non fare le riforme perché il cattivo funzionamento della giustizia è un alibi che consente di dire che c’è il complotto, che ci sono piani persecutori… Se si fosse andato nel merito molti tabù nostri sarebbero stati alla luce del sole e molte delle invettive del centrodestra sarebbero finite. Credo che su questo terreno non si debbano dare segnali politici ma si devono fare le cose. Per questo quando leggo anche miei compagni di partito che dicono abbiamo votato a favore della responsabilità civile perché volevamo dare un segnale pensano che abbiano commesso un grave errore. E’ propaganda. La propaganda non si accompagna con il riformismo. Oggi ci sono le condizioni per riformare la giustizia. E spesso le soluzioni sono più a portata di mano di quanto non si creda. Ne dico una: parlare di riforma del meccanismo elettorale del Csm non è più un tabù, e qualcosa faremo, mentre tre anni fa se non ne parlavi era considerato un tema intoccabile. Anche di obbligatorietà dell’azione penale si può riparlare. Ma se si pensa che ci sia stato un grande tavolo dove la sinistra si vedeva con i procuratori, organizzava un grande complotto e questa lettura rimane in campo, non andiamo da nessuna parte.

PUBBLICITÁ

 

Vietti: Credo che questo libro impegni Cerasa a scrivere un altro libro sulle catene della destra. Cerasa pur con buone intuizioni pecca infatti di asimmetria. Pecca di uno sguardo troppo unilaterale. La tesi del libro è che la sinistra ha applicato la teoria gramsciana e non la teoria leninista e dunque, come Gramsci spiegava, il potere non si conquista andando all’assalto del Palazzo di inverno ma si conquista egemonizzando le casematte del paese, cioè le istituzioni, i magistrati, la cultura, i giornali, le lobby, i sindacati, e che attraverso l’egemonia si conquista il potere. La sinistra dopo aver egemonizzato la magistratura, dice Cerasa, in realtà ne è rimasta prigioniera. Perché questa magistratura organizzata in questo rapporto organicistico in particolare con una corrente della magistratura, che sarebbe magistratura democratica, alla fine da prigioniera è diventata carceriera impedendo alla sinistra di poter manifestare le proprie potenzialità riformistiche. Questo è l’assunto. Nella dimostrazione poi ci sono alcune affermazioni che o non provano abbastanza o provano troppo. L’elenco dei magistrati che sono entrati in politica con la sinistra. Certo: è un elenco consistente. Per la verità sarei in grado di farne un elenco più o meno analogo di magistrati che sono entrati in politica con il centrodestra. Ho controllato per curiosità in questa legislatura, perché poi il numero cresce di legislatura in legislatura, e sono 18 i magistrati entrati in politica, e sette stanno con il centrodestra e nove con il centrosinistra. Ora condivido la frase di Pietro Calamandrei che riporta Cerasa, laddove si dice che il magistrato che fa un comizio elettorale non può più sperare come giudice di avere la fiducia dei suoi amministrati. Però bisogna che su questo ci mettiamo d’accordo. Destra, centro e sinistra. Non è che è soltanto se un giudice si schiera da una parte che si delegittima. Dato che questi vent’anni hanno visto magistrati che hanno avuto forti protagonismi politici, da tutti gli schieramenti, si scelga cosa fare. O con una riforma normativa o con un fair play tra i partiti, si stabilisca una regola fondamentale: che il magistrato che entra in politica non può tornare a fare il magistrato. Se vuole fare l’arbitro non può fare il giocatore. Una volta che si è messo a giocare in una squadra non può tornare a fare l’arbitro. C’è la volontà di destra e centro e sinistra di prendere una decisione di questo genere? Di più non è facile fare. D’altronde c’è l’articolo 51 della costituzione che dà diritti a tutti i cittadini, ivi compresi i magistrati di partecipare alla vita politica. Non è che io posso fare una norma in cui dico il magistrato non si può candidare. Posso fare norme più restrittive sulle incompatibilità. E sul ritorno indietro dopo l’esperienza politica. (…) Ora ci sono state fughe in avanti della magistratura in questi anni? Certamente sì. C’è stato un problema di lettura della Costituzione orientata della normativa? Obiettivamente sì. Oggi la lettura costituzionalmente orientata è un dato acquisito dalla Corte costituzionale, che legittima pienamente quell’operazione. Non le singole operazioni che hanno avuto eccessi e sbavature. Mettiamoci d’accordo: il “giudice bocca della legge” che in qualche modo viene rimpianto in alcune delle pagine di Cerasa non c’è più, posto che ci sia mai stato, e non c’è più da almeno 50 anni, posto che ci sia mai stato. Cioè: il giudice bocca della legge era il giudice dello stato ottocentesco, era il giudice dei codici, era il giudice di un’epoca in cui non c’erano le norme speciali. Oggi il giudice vive in un reticolo normativo intricato, sovrapposto, contraddittorio, e non è che possiamo pensare che il giudice fa la bocca della legge. Il giudice si muove in un contesto in cui la sua discrezionalità è molto ampia. E’ un bene? Un male? Se è un male, la politica cominci a fare autocritica lei. Chi è che fornisce quel reticolo normativo che è una matassa, un groviglio intricato in cui si rischia che ciascuno legge quello che vuole. E’ il Parlamento, fino a prova contraria. Dopodiché anche qui ci sono abusi? Sì. Ci sono fughe in avanti? Sì. (…) Un bel libro paragona questo intrigo normativo in cui il giudice si deve muovere con una lanterna alla storia del labirinto del Minotauro e alla storia di Icaro. E dice: attenzione, il giudice in quel reticolo deve orientarsi nel labirinto della normazione e per farlo ha una sua discrezionalità. Ma che cosa non deve fare? Non deve spiccare il volo con le ali di cera di Icaro. E soprattutto non si deve avvicinare troppo al sole, sennò le ali si sciolgono e casca per terra. Traduzione della metafora: il giudice, anche quando applica la sua discrezionalità, deve stare ai fatti, non si deve occupare dei fenomeni, non si deve sentire investito di improprie missioni. Non deve pensare di essere investito da un generico controllo della legalità. Non deve pensare che gli sono state affidate missioni sociali salvifiche. Deve occuparsi dei reati, che attengono a fatti e responsabilità personali di Tizio, di Caio, di Sempronio. Questo sì. E certamente questo non sempre è avvenuto e avviene. E’ difficile trovare il punto di equilibrio nel labirinto? Sì. Il labirinto c’è? Sì. La magistratura deve cercare con il suo lanternino di recuperare il filo di una qualche razionalità di quella normazione? Sì. Dobbiamo chiedere che non spicchi voli impropri che sono un rischio non per il giudice? Si. In altre parole, per stare ai temi di oggi, la magistratura non si deve occupare dei sistemi corruttivi. Si deve occupare delle singole vicende in cui ci sono dei corrotti, dei corruttori, dove ci sono singole specifiche responsabilità che deve accertare. Certo: ci sono magistrati che non si comportano come si deve. Questi magistrati andrebbero censurati. Però attenzione. Non possiamo lamentarci degli abusi dei magistrati e poi dare ai magistrati tutto questo potere. Per dire: quando si parla di abuso di intercettazioni, come scrive Cerasa. Quando si parla di abuso della carcerazione preventiva. Quando si parla di abusi dei magistrati vogliamo dire o no che la politica deve prendersi la sua responsabilità? Vogliamo dire o no che le conversazioni dei terzi estranei che non sono indagati e che parlano di questioni non pertinenti e non rilevanti ai fini dell’inchiesta non si possono pubblicare? Questo lo vogliamo dire? O ogni volta dobbiamo aspettare le lenzuolate dei giornali su ogni scandalo e dobbiamo dire che vergogna che vergogna non c’è rispetto della privacy? La carcerazione preventiva, poi, se ne abusa? Sì. Cerasa cita una frase di Bruti Liberati per la verità un po’ maliziosamente perché nel contesto in realtà lui se ne lamenta quando dice “oggi l’unica pena veramente erogabile è la carcerazione preventiva”. Ma ahimé, è così. Perché in questo sistema in cui non si riesce ad arrivare a una sentenza definitiva, che poi il carcere preventivo sia di fatto l’unica pena che qualcuno riesce a scontare è una realtà. Non va bene? No, non va bene. Il legislatore vuole intervenire, se ne parla da almeno un anno, a modificare le condizioni dell’impiego della carcerazione preventiva? Non lo fa nessuno. Anzi: che cosa facciamo? Ci lamentiamo dell’invadenza di campo dei magistrati, di destra, di sinistra e di centro e poi l’unica cosa che facciamo qual è? Introduciamo fattispecie di reato nuove, almeno uno alla settimana, in un sistema ad azione penale obbligatoria in cui introdurre una fattispecie di reato vuol dire dare a questi terribili pm – alleati della sinistra, comunisti, nemici del popolo (sorride Vietti, ndr) – il potere di avere grande discrezionalità, forse anche eccessiva discrezionalità, perché il legislatore non ha mai messo dei criteri di priorità. In sostanza: continuiamo a introdurre nuovi reati, cioè nella logica vostra a “fornire munizioni al nemico”, a quella trincea da cui vengo cannoneggiato. Io non condivido questa logica. Ma se la logica è questa la prima cosa da fare è non fornirgli le munizioni. Smettiamola con questa storia in cui pensiamo che tutto si riduce introducendo nove forme di reato. Non è politicamente corretto dirlo ma lo dico lo stesso: siamo veramente convinti che la lotta alla corruzione la risolviamo aumentando a cinque anni la punizione al falso in bilancio e mettendo l’autoriciclaggio? Non discuto che sia sacrosanto farlo ma dopo che l’avremo fatto e la corruzione continuerà cosa diremo? Che la portiamo la pena a sette anni, a otto anni? Che mettiamo altri dieci reati? O vogliamo renderci conto che il problema di questi fenomeni non lo si può affidare ai poteri sanzionatori della magistratura o alla punizione penale? Io ho grande stima del magistrato che guida l’autorità anti corruzione (Raffaele Cantone, ndr). Ma proprio perché gli voglio bene sono preoccupato nel leggere tutti i giorni sul giornale che ogni scandalo che si verifica adesso arriverà sul cavallo bianco l’autorità di governo che lo risolve. E l’Expo, è così. E il Mose, è così. E la finanza, è così. Noi praticamente affidiamo, questo è un tipico modo italiano di risolvere i problemi, tutto a un magistrato. Noi che siamo quelli che ci lamentiamo continuamente dell’invadenza dei magistrati, quale soluzione troviamo al problema generale della corruzione? Un magistrato. Io occupandomi del governo dei magistrati sono lusingato nell’immaginare che i magistrati siano in grado di risolvere tutti i problemi. Però vorrei sommessamente far notare a chi si lamenta dell’invasione di campo dei magistrati che forse il primo modo per contenere questa invasione di campo è quella di lasciare i magistrati fare i magistrati e non portarli in politica. Non munirli di un eccesso di fattispecie incriminatorie con le quali possono essere tentati dal non essere equi e obiettivi. E soprattutto non caricarli di attese messianiche che alla fine inevitabilmente deluderanno.

PUBBLICITÁ

 

Cerasa: Due domande. Sulla responsabilità civile bisogna agire, e fare qualcosa, o è un argomento che non vale la pena affrontare? E sulle intercettazioni che cosa si dovrebbe fare per avere una giustizia giusta che sappia frenare gli abusi?

 

Orlando: Consentitimi di entrare sulla vexata quaestio di Magistratura democratica. Se l’idea è quella che il principio dell’egemonia è un po’ una cosa macchiettistica per cui a un certo punto si crea un complotto e si prendono le casematte del potere e tutto questo percorso si realizza quasi attraverso una tecnica militare credo si faccia una rappresentazione di questo paese che non corrisponde al reale. (…) Per quanto riguarda Magistratura democratica, quando Md si forma la magistratura in larga parte costituiva una funzione di difesa di un vecchio ordine che era stato superato dalla costituzione repubblicana. Vorrei ricordare che fino agli anni Settanta il danno biologico ai bambini era calcolato in funzione della nascita. Se eri figlio di un notaio prendevi dieci. Se eri figlio di un muratore prendevi uno. Il tutto in palese contraddizione con l’articolo 3 della Costituzione. Allora, dire che all’epoca ci si poneva l’obiettivo di una norma costituzionalmente orientata non significava rivendicare un arbitrio. Significava utilizzare un meccanismo fondamentale come la Costituzione per provare a riequilibrare degli elementi che erano distorti per la sopravvivenza di un vecchio ordine superato con la fine del fascismo. In quel quadro…

 

Sottile: Posso? Noi parliamo sempre di costituzionalmente orientato. Per carità, definizione bellissima. Qui però la tesi di Cerasa è che questo costituzionalmente orientato è diventato una militanza. Ma questa militanza è qualcosa di diverso rispetto al costituzionalmente orientato. Solo per precisione.

 

Orlando: Ripeto. I tempi di cui parliamo sono tempi in cui la Costituzione era in larga parte disapplicata. Il problema non è la questione morale, o almeno non solo quello, è la mancata collocazione internazionale della sinistra, del Pci, la mancata scelta di collocasi nella tradizione del socialismo europeo. Tutto questo porta a una crisi di identità che costringe a una rincorsa continua a tutte le forme radicaleggianti che si erano affermate alla fine degli anni settanta. Con una perdita di ruolo e funzione che fa perdere alla politica la sua autonomia. Direi che sostanzialmente il rapporto tra magistratura e politica si rovescia completamente. I militanti cominciano a pensare che siano le procure a dover determinare un cambiamento all’interno della società. Qui c’è un dato vero. Non credo che questo sia avvenuto per cercare scorciatoie con le procure. Credo sia venuta meno, piuttosto, una capacità di elaborare un ruolo della sinistra alla società. Si ricorre in qualche modo ai surrogati. E ovviamente ci si fa male. Quanto alle domande. Che ci voglia la responsabilità civile è una cosa che non è assolutamente in discussione. Il tema fondamentale è questo. Una responsabilità civile che colpisca direttamente il giudice è una responsabilità civile che inibisce la sua autonomia. Che rischia di portare la magistratura a un atteggiamento meramente burocratico. Occorre capire quanto di quel danno deve gravare sullo stato e quanto sul singolo giudice. I temi sono due e ci stiamo lavorando. Il filtro prima di tutto. C’è una arbitrarietà nel considerare i ricorsi sulla responsabilità civile. E’ la Corte d’appello che decide se quel ricorso è fondato o meno su criteri molto ambigui. E quindi, da questo punto di vista, si tratta di vedere come si possa esercitare questo diritto. Sulla questione delle intercettazioni il punto fondamentale è questo: come si evita che abbiano un utilizzo improprio. Stop. Occorre dunque capire come si realizzino degli elementi di filtro che impediscano un uso improprio delle intercettazioni. Trovo assurdo che conversazioni che neanche compiono in un fascicolo vadano a finire sui giornali. Anche su questo stiamo lavorando. Ci sono una serie di rimedi tecnici. Il filtro è uno di questi. Sulla custodia cautelare voglio dire una cosa parzialmente in dissenso da quanto detto dal presidente Vietti. Perché è vero che mancano le norme. Sono d’accordo che bisogna lavorare affinché il cautelare principe diventi il domiciliare e non il carcere, e quel percorso va ripreso in Parlamento. Ma anche a norme invariate faccio notare che da quando Strasburgo ci ha messo sotto scopa, il ricorso alla cautelare è diminuito. Questo significa che anche i giudici, nel modo in cui applicano la legge, hanno una discrezionalità che esercitano in un modo o in un altro, e che talvolta c’è stato un abuso del cautelare non per questioni legate alla legge ma perché qualche volta il cautelare è stato utilizzato non solo come anticipo della pena ma come strumento attraverso il quale realizzare delle attività processuali.

 

Vietti: Lo dico sinceramente. Credo che oggi ci siano le condizioni per fare una vera riforma della giustizia. C’è la stabilità, c’è la volontà. Sui singoli punti invece la penso così. Sulla responsabilità civile condivido quello che dice il ministro. Evitiamo di invocare alibi europei, però. Tutto questo tirare in mezzo la Corte di giustizia europea, che ci chiederebbe di introdurre la responsabilità civile, è una sonora sciocchezza. La Corte di giustizia europea ha detto che risponde sempre lo stato. E che non è possibile che uno stato invochi delle limitazioni interne della responsabilità del suo magistrato per sottrarrsi all’azione di risarcimento. Quindi, lo stato deve risarcire. E in nessun paese europeo c’è la responsabilità diretta del magistrato. E’ chiaro che io non posso esporre il magistrato il cui valore principale è il libero convincimento. Il rischio sarebbe quello di esporre il magistrato alla parte economica più forte. (…) Sulle intercettazioni, il rimedio tecnico è un’udienza filtro, un’udienza vera non come quella che oggi prevede il codice e che non funziona e che si fa dopo il provvedimento cautelare ovvero quando le carte sono già andate in giro dappertutto. Un’udienza filtro in cui giudici e avvocati mettano la testa sulle intercettazioni e selezionino quello che è penalmente rilevante e quello che non è penalmente rilevante. Ciò che non è penalmente rilevante viene distrutto e quindi non pubblicato. Ciò che è penalmente rilevante sta nel fascicolo. Quando il fascicolo non è più segreto andrà inevitabilmente sui giornali. Sulla custodia cautelare aggiungo: non è che oggi tutti fanno delle norme sulla custodia cautelare un’interpretazione corretta. C’è stato e c’è un abuso. Anche a legislazione vigente. E’ chiaro che quando si dice che posso ricorre a una custodia cautelare quando c’è pericolo di reiterazione del reato o il pericolo di fuga se lo interpreto in senso stretto tanti casi di custodia cautelare che non si giustificano. Però, dato che questi criteri sono interpretati in modo ampio, probabilmente un intervento del legislatore che li ritari stabilendo quali sono davvero le eccezioni credo che non potrebbe che far bene al nostro sistema giudiziario. Chissà che non sia la volta giusta.

 

PUBBLICITÁ