Perché il doping di Schwazer è una storia che viene da lontano

Francesco Caremani

Alex Schwazer ha detto la sua, ha vuotato il sacco, si è arreso e consegnato come unico prigioniero di un incubo. Oltre le lacrime e la commozione, perché il doping è una cosa seria oltre che un reato penale. Oltre la superficialità di alcuni frequentatori di social network, che forse si sentono migliori sulle disgrazie altrui. Ma sono in molti a non essere convinti fino in fondo dalla sua versione. Forse bisognerebbe iniziare a chiedersi che cos’è l’inchiesta "Mito" condotta dal pm Benedetto Roberti della Procura di Padova, e dai Nas in collegamento con la Wada, la World Anti-Doping Agency.

    Alex Schwazer ha detto la sua, ha vuotato il sacco, si è arreso e consegnato come unico prigioniero di un incubo. Oltre le lacrime e la commozione, perché il doping è una cosa seria oltre che un reato penale. Oltre la superficialità di alcuni frequentatori di social network, che forse si sentono migliori sulle disgrazie altrui. Ma sono in molti a non essere convinti fino in fondo dalla sua versione.

    Forse bisognerebbe iniziare a chiedersi che cos’è l’inchiesta "Mito" condotta dal pm Benedetto Roberti della Procura di Padova, e dai Nas in collegamento con la Wada, la World Anti-Doping Agency. L'inchiesta, avviata nel 2010, ha portato alla luce un'organizzazione internazionale che offriva agli atleti un pacchetto completo – e a pagamento: dalla preparazione fisica a quella chimica, l’ingaggio con lo sponsor, la difesa legale e la capacità di attaccare mediaticamente chi si occupa di antidoping. Tutto questo al modico prezzo di 50.000 euro l’anno.

    Gli investigatori hanno sequestrato Epo proveniente da ogni angolo del pianeta e trovato conti correnti svizzeri per transazioni estero su estero, riscontrando ulteriori reati quali l’evasione fiscale e il riciclaggio di denaro. Un lavoro del quale si è avvalsa anche la Fda americana attraverso una rogatoria internazionale nell’affare Armstrong, che ha in Jeff Novitzky (investigatore dell'Agenzia statunitense) il nemico numero uno. Sono stati scoperti steroidi e trasfusioni per emodoping, soprattutto nel ciclismo. In quelle carte c’è il nome di un medico chiacchierato e anche quello di Alex Schwazer, ma questa non dovrebbe essere una novità per l’atleta altoatesino.

    “Vi ricordate del doping solo adesso?” ha detto al Foglio.it il professore Dario D’Ottavio, già responsabile del Servizio di Chimica Analitica e Controllo della Qualità presso l’Azienda ospedaliera san Camillo-Forlanini di Roma e referente del Consiglio nazionale dei chimici per la lotta al doping. “Vi meravigliate di un ragazzo trovato positivo al doping, ma siete sicuri che tutti i negativi siano puliti? Esistono tanti modi per nascondere le sostanze. Gira tanto GH eppure quanti ne hanno trovati? Fino a prova contraria io credo alle parole di Schwazer e se non avesse detto la verità avrebbe sbagliato due volte. Esistono vari tipi di Epo: alcuni a rilascio immediato che restano nell’organismo 24/48 ore, altri (il Cera, per esempio) che vi rimangono per più di una settimana, eppure nessuno gli ha chiesto ancora quale tipo abbia assunto”.

    D’Ottavio è stato l’inventore del passaporto biologico con il programma "Io non rischio la salute" – che poi è il vero problema di chi si dopa, la salute – e sostiene che l’Italia grazie alla legge penale e al lavoro delle forze dell’ordine meriterebbe la medaglia d’oro per la lotta contro il doping, vana se altri paesi non fanno altrettanto.  Per esempio i russi citati da Schwazer, e altri casi spagnoli.

    “Adesso deve essere recuperato l’uomo”, ha detto al Foglio.it Pietro Mennea che della lotta alle sostanze dopanti è un antesignano (suo il gruppo su Facebook "La cultura contro il doping"). “Lo sport è importante, le Olimpiadi sono importanti ma tutto diventa relativo di fronte alla vita. Spero che riesca a trovare la forza in chi gli vuole bene ma l’atleta non c’è più e mi dispiace aver sentito le parole dell’amico e presidente Fidal, Franco Arese, che lo aspetta a Rio”, ha stigmatizzato Mennea.
    “I controlli del Wada sono a sorpresa, e sono più efficaci, perché il doping sarà sempre più avanti di chi lo combatte. Quello genetico? Nel nostro organismo ci sono 250 geni che determinano l’attività sportiva per farlo ci vuole un doping di stato con istituti di ricerca e case farmaceutiche compiacenti. Non si può fare a tutti e, per fortuna, non in tutto il mondo”, conclude D’Ottavio.

    Resta la fragilità di un atleta e di un uomo che non ha saputo reggere le pressioni (d’ogni genere), restano i dubbi sulla versione dettata ai giornalisti, sui risultati dell’ultimo anno, su un doping che generalmente si fa in allenamento per aumentare le capacità di resistenza. Noi che ci siamo commossi nel 2008, così come in questi giorni, vorremmo credere ad Alex Schwazer perché abbiamo bisogno di leggende. Ma come diceva Voltaire: “Se abbiamo bisogno di leggende, che queste leggende abbiano almeno l’emblema della verità! Mi piacciono le favole dei filosofi, rido di quelle dei bambini, odio quelle degli impostori”.