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La gran libreria di Michele Serra, piena di intellettuali di destra. Mica come gli altri

Andrea Mercenaro

Siamo dotati di un’elica genetica affamata di conoscenza; all’opposto dell’altra, a destra, refrattaria al sapere, ha detto il giornalista raccontando delle sue letture da giovane

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Repubblica di sabato, l’“Amaca” di Michele Serra. Dove l’Autore parla del se stesso di un tempo e dipinge la propria ricca libreria di allora. Ricchissima. Debordante di volumi, ha tenuto a raccontarci, e perfino con tomi di destra, con molti tomi di destra, anzi, moltissimi. Mamma sua, per esempio, aveva una fissa per Prezzolini. Il Serra giovane era già estremamente curioso. Era di sinistra. Laddove, e siamo al suo j’accuse, nemmeno adesso la destra ce la fa. Non riconosce i propri riferimenti culturali; ignora tuttora i Balla, ignora i Longanesi e i Depero, non degna di attenzione i Prezzolini e i futuristi, ma nemmeno i Papini. Si leggeva di tutto, noialtri, ha scritto Serra, di quegli altri nemmeno dico. E perché tutto questo? Perché questa è la natura nostra, recita la risposta, siamo dotati di un’elica genetica affamata di conoscenza; all’opposto dell’altra, a destra, refrattaria al sapere.  Non aveva forse tutti i torti, il più intelligente tra i Michele. Tornavano infatti alla mente, seguendo le sue modeste parole splendidamente ornate, le Feste dell’Unità, le spaziose vetrine aperte sulla cultura profonda del partito. Allorché gli intellettuali-guida della sinistra, le sue teste d’uovo, delegate dalla bisogna contingente della festa al timone dello stand: “Trippa alla Craxi”, scomparivano d’un tratto e si barricavano in dispensa per confrontarsi, non so, tipo sull’Ezra Pound dei Cantos. E in quell’esatto contempo, caricato di librerie vaste al punto da occupare ogni sapere, nonché imbevuto fino alle orecchie di Papini e Prezzolini  (forse per questo remunerato il giusto), Serra Michele buttava giù, nero su bianco, quel dottissimo Vaffanculo cui si formò la corrente letteraria di Beppe Grillo.

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