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Che vita, quella di Bob Dylan. E buon compleanno

Andrea Mercenaro

Ottantuno anni compiuti ieri. “Non ho mai visto un Dio, confesso, ho fede solo nella musica”. Un metro e cinquantacinque. Cinquecento miliardi di pagine su Wikipedia ne sfiorano il carattere a mala pena

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Ottantuno anni ieri e che vita, almeno a guardarla da lontano. Ricca più della mia. Forse. Per sicuro di quelle di un Saviano, di un Di Matteo, di una Maria Elisabetta Alberti Casellati. Bob Dylan. Le origini da Odessa (a proposito), anche dalla Lituania (sempre a proposito), l’ebraismo non tanto come religione, come marchio a fuoco. Poi tutto. Il rock, il folk, la musica elettronica, due, tre, quattro, cinque generazioni, l’odio dichiarato per John Lennon, bravino, intendiamoci, ma quella vergogna di testo per “Imagine”. Oscar, Nobel, premi, lauree, pompini come manco a Nelson Mandela. Che in quanto antisemita, gli stava qui. Si convertì a cristiano. Perché? gli chiesero: “Non ho mai visto un Dio, confesso, ho fede solo nella musica”. Bob Dylan. Un metro e cinquantacinque. Cinquecento miliardi di pagine su Wikipedia ne sfiorano il carattere a mala pena. Andy Warhol, un altro dio, gli portò un ritratto rubato in dieci secondi di foto mentre suonava dal palco: “Preferisco questo”, rispose, ficcandosi sottobraccio quello di Elvis Presley. Arrivato a casa di un amico, lo scambiò con quel vecchio divano che gli piaceva. Bob Dylan. Più americano di lui, nemmeno Bob Hope. Anche aforismi ha regalato: “La gente raramente fa quello in cui crede. Fa quello che è conveniente, poi si pente”. Tendo a escludere che conoscesse Paolo Mieli.

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