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Ferrara è vivo. E io mi sono giocato il mio quarto d'ora di notorietà

Andrea Mercenaro

Per una volta che potevo restare appiccicato al telefono per rispondere ai giornalisti più prestigiosi del paese che avrebbero senz’altro voluto approfondire se le uova, lui, le avesse preferite strapazzate o all’occhio di bue...

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Per una volta che potevo dire anch’io: Madonna mia, che bene ci si era voluti, e che belle giornate passate insieme, e l’allegria, e le risate, e i nostri cani molto fidanzati e qualche Martini in più anche prima di mezzogiorno; per una volta che avrei potuto raccontare come un intellettuale di peso, di peso maggiore perfino del peso della Marzano, quella volta in quarant’anni, ma forse quelle due, avesse mostrato interesse per ciò che dicevo (la prima volta, vado a occhio, potevano essere le 17, 29 minuti, 21 secondi e 3 decimi di un giovedì 28 febbraio), ma mi spingo più in là, di mostrare interesse fino al punto di complimentarsi: cazzo, sei consapevole che hai appena svolto un ragionamento?; per una volta che potevo restare appiccicato al telefono per rispondere ai giornalisti più prestigiosi del paese che avrebbero senz’altro voluto approfondire se le uova, lui, le avesse preferite strapazzate o all’occhio di bue, e magari così, vedi mai, finiva sui giornali anche il mio nome, insomma, nisba, quello scassamaroni di Ferrara è rimasto vivo.
 

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