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Una quarantena di nove mesi (a scuola)

Andrea Mercenaro

Tra i mille dubbi per la riapertura di settembre, si portino nelle aule tutti insieme, studenti e insegnanti. E li si ritiri a giugno dell’anno prossimo

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Riaprire le scuole. Certo. Il 14 settembre. Certo. Ma alcune regioni il 24, un’altra addirittura dopo il voto. I corsi di recupero, certi per alcuni, alcuni altri per tutti, il Pai, il Pia. Come andare a scuola: i mezzi pubblici al 75 per cento della capienza, ma coi filtri d’aria nuovi, certificati. E come si fa? La mascherina: fino a 6 anni no, poi sì, ma a più di un metro anche forse. E lo zaino da disinfettare, però non sempre, l’orario d’ingresso scaglionato, però a turno, l’insegnante malato sostituibile solo dopo tre giorni, la didattica a distanza sì, d’altronde soprattutto la presenza, ma la febbre? Chi la misura? La scuola? La famiglia? Se il contagio si manifesta, isoliamo il colpito tramite il “referente Covid”: facile, a parole. Ma il tampone si fa a casa. E la scuola? Chiudere? Lasciare aperto? Tracciare il malato? Tracciarlo? Dopo l’intervallo? E gli screening, a campione. E i test sierologici. Che sono utili? O sono inutili? Riaprire le scuole. Ma certo. A condizione di farla semplice. Di renderli liberi di organizzarsi. Che è tutto apprendimento, tra l’altro, cultura. Cioè. Si portano a scuola tutti insieme, studenti e insegnanti, il 14 settembre. Li si inchiavarda dentro per nove mesi e li si ritira, senza scuse, a giugno dell’anno prossimo.

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